Piergiorgio Odifreddi: “La scienza, Ottavia Piana, e l’ossessione tutta occidentale per il superamento dei limiti”

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Il recente caso di Ottavia Piana – la speleologa rimasta intrappolata, e poi portata in salvo, nella grotta del Bueno Fonteno, vicino a Bergamo, dopo una caduta durante una spedizione – ha acceso il dibattito pubblico. Al centro della discussione emerge una domanda cruciale: l’avventura e la scienza devono imporsi dei limiti o è nella loro stessa essenza spingersi oltre ogni confine? Ne abbiamo parlato con Piergiorgio Odifreddi, celebre matematico e divulgatore scientifico.

Professore, qual è il suo punto di vista sul dibattito nato attorno al caso della speleologa?
Non credo che il tema sia strettamente scientifico, ma piuttosto culturale e legato alla civiltà. Noi occidentali abbiamo un’ossessione per il superamento dei limiti. Mi torna in mente un discorso del Dalai Lama che ascoltai in Ladakh: diceva che i tibetani cercano sempre i passi più bassi per attraversare le montagne, evitando fatica e rischi inutili. Al contrario, gli occidentali scalano le vette per poi tornare giù. “Perché lo fate?”, chiedeva. “Non è necessario”. Questa differenza sintetizza bene un tratto distintivo del nostro approccio culturale.

Quindi, è una caratteristica tipica dell’Occidente?
Sì, e riguarda sia l’aspetto culturale sia quello individuale. Pensiamo agli sport estremi: chi si lancia con il bungee jumping, chi scala montagne senza corde, chi esplora grotte profonde. Sono espressioni di un impulso profondo, di sfida dei limiti e di spirito di conquista. Guardiamo, ad esempio, ai progetti di Elon Musk per colonizzare Marte: un’impresa che potrebbe rivelarsi suicida, visto che richiederebbe anni di viaggio e risorse immense. Eppure, vogliamo farlo. Perché? Per lo stesso motivo per cui si scala una montagna o ci si getta da un ponte: è una spinta insita nella nostra natura. Ma è anche una caratteristica della nostra civiltà, che per secoli si è espansa conquistando continenti, prima per necessità, poi per ambizione.

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Questa inclinazione si riflette anche in altri ambiti?
Certamente. Pensiamo alla crescita economica: ogni anno dobbiamo fare “di più”, crescere “di più”. Se otteniamo gli stessi risultati dell’anno precedente, siamo insoddisfatti. È una spirale senza fine, che ci priva della serenità. Al contrario, le culture orientali predicano il distacco: spogliarsi dei desideri per raggiungere una condizione di equilibrio. Noi occidentali, invece, vogliamo tutto, ma nessuno può averlo davvero.

E la scienza? È consapevole dei propri limiti?
Sì, la scienza moderna ha riconosciuto i propri confini. Penso al principio di indeterminazione di Heisenberg, che ci dice che non possiamo conoscere contemporaneamente posizione e velocità di una particella, o al teorema di incompletezza di Gödel, secondo cui ci sono verità matematiche che non possono essere dimostrate. Sono conquiste del Novecento, ma la nostra società tende spesso a ignorare questi limiti. Lo vediamo con il cambiamento climatico: sappiamo di star oltrepassando confini pericolosi, ma ci comportiamo come se non fosse così.

Accettare i limiti può aprire nuove prospettive?
Assolutamente. Il teorema di Gödel, ad esempio, ha ispirato Alan Turing a sviluppare il concetto di computer, e oggi le nostre vite ruotano attorno a quell’invenzione. I limiti possono essere un punto di partenza, purché si abbia l’umiltà di riconoscerli. Ma il nostro impulso a sfidare continuamente i confini può portarci a situazioni che non vorremmo. Ho letto di un ragazzo che praticava il volo con la tuta alare: sopravvissuto a un incidente, ha continuato a lanciarsi finché non si è schiantato fatalmente. È un esempio estremo, ma rappresentativo.

Come si può trovare un equilibrio?
Porsi limiti e riflettere sul significato delle proprie azioni è fondamentale. Perché vogliamo andare su Marte, ad esempio? Non sarebbe più saggio risolvere prima i problemi della Terra? Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere che senza esploratori come Colombo o Armstrong, l’umanità non sarebbe ciò che è oggi. La spinta a superare i confini ci definisce, ma va governata con saggezza.

Ha citato più volte la missione su Marte. Qual è la sua opinione su Elon Musk?
È un personaggio fuori dal comune, certo, ma impulsivo e poco equilibrato. Non lo considererei un modello di saggezza. È stato il primo uomo a guadagnare 200 miliardi di dollari in un anno, per poi perderli l’anno successivo. Personalmente, trovo figure come Bill Gates più riflessive e stabili. Musk, oggi, esercita un’influenza enorme: è quasi un vicepresidente ombra degli Stati Uniti. La democrazia americana dovrebbe riflettere su questo.



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