Nelle carceri italiane non sono mai morte tante persone come nel 2024


Il 2024 sta battendo ogni record negativo sulla drammatica situazione del sistema di reclusione italiano. Dopo che nei giorni scorsi un italiano di 50 anni si è tolto la vita nella casa circondariale di Alessandria, i detenuti suicidatisi dall’inizio dell’anno sono infatti saliti a 87, a cui l’associazione Ristretti Orizzonti aggiunge anche il suicidio avvenuto nel CPR di Roma. Se si contano anche i 155 detenuti morti per «altre cause» tra le mura delle carceri italiane, si arriva a un totale di 243 reclusi morti nelle strutture del Paese, superando di gran lunga gli 82 registrati nel 2022 (numero più alto fino ad oggi). Resta, inoltre, altissimo il tasso di sovraffollamento: come denunciato dalla Polizia Penitenziaria, a livello nazionale sono 16mila i prigionieri ristretti oltre la capienza disponibile e oltre 18mila gli agenti mancanti.

Il numero di suicidi in carcere del 2024 ha sfondato ogni record passato. Secondo i numeri forniti da Ristretti Orizzonti, dopo l’ultima vittima, le persone in stato di detenzione che si sono tolte la vita a causa del sistema detentivo italiano ammontano a 88. I numeri di Ristretti Orizzonti, infatti, tra le altre cose, contano anche le morti nei CPR, quelle in ospedale dopo atti di autolesionismo compiuti in carcere e quelle di persone che si sono tolte la vita mentre si trovavano fuori dalla struttura per un permesso. Secondo il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che fornisce i numeri ufficiali, al 2 dicembre i suicidi nelle carceri italiane ammontavano a 79. Stando ai numeri del Garante, il dato supera notevolmente quello di dicembre 2023, in cui si registrarono 61 suicidi, e risulta lo stesso rispetto a dicembre del 2022. Dei 79 decessi ufficiali, su cui il Garante fornisce dati generali, 77 erano uomini e 2 donne; 45 risultavano italiani (pari al 57%) e 34 stranieri, provenienti da 15 Paesi diversi. Le fasce d’età più presenti sono quelle tra i 26 e i 39 anni (34 persone) e tra i 40 e i 55 anni (23 persone). Come già rilevato a gennaio, la maggior parte dei suicidi (42) è avvenuta nei primi 6 mesi di detenzione; di questi, «8 entro i primi 15 giorni, 6 delle quali addirittura entro i primi 5 giorni dall’ingresso». La questione dello stigma sociale di essere percepiti come criminali, insomma, si ripresenta come una delle ragioni principali che spingono un detenuto a suicidarsi e dimostra come a dover cambiare in primo luogo sia la cultura carceraria. A questo si aggiungono anche gli ormai cronici problemi strutturali.

L’ultima vittima risale a domenica 15 dicembre, ed era un detenuto della Casa di Reclusione di Alessandria San Michele. Qualche giorno prima, nella stessa struttura, un altro recluso aveva tentato di darsi fuoco e non è riuscito nell’intento solo grazie all’intervento della Polizia Penitenziaria. «Del resto, anche Alessandria, con 380 detenuti presenti a fronte di 263 posti disponibili, soffre di un grave sovraffollamento», denuncia il sindacato UILPA, «mentre la Polizia Penitenziaria, con 175 unità in servizio, quando ne servirebbero almeno 369, opera a ranghi fortemente ridotti». La carenza di personale e il sovraffollamento continuano a giocare un ruolo preponderante nell’evidente malessere dei detenuti: lo scorso ottobre, il numero di persone in carcere nel Belpaese aveva superato le 62.000 unità, toccando il picco storico degli ultimi dieci anni. Ironicamente, davanti a un tale numero di reclusi e a carceri sovraffollate, il Governo Meloni ha inasprito – e intende inasprire ancora di più, come dimostra il ddl 1660 – le pene, introducendone persino di nuove.

Oltre al sovraffollamento, ad allarmare è anche lo stato in cui versano le strutture, spesso obsolete e vecchie di quasi, o in certi casi oltre, un secolo. L’associazione Antigone ha osservato come in 25 delle 76 carceri visitate (pari al 33%) vi siano celle in cui non sono garantiti i 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta, tanto che alcune di esse non sono nemmeno dotate di doccia, riscaldamento e acqua calda. Gli spazi sociali risultano ridotti all’osso, l’accesso al verde è in molti casi impossibile e le misure rieducative e di formazione risultano spesso inadeguate, mentre, dall’altra parte, i casi di violenza risultano frequenti e in certi casi strutturali.

[di Dario Lucisano]





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