Per la morte e per la sorte

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NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Non mettevo piede in un luna park da quando ero bambina, e ora eccomi qui, trascinata dalla mia migliore amica. Tutto sembra un gioco, finché gli eventi non iniziano a prendere una strana piega.

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Erano secoli che non mettevo piede in un luna park. L’ultima volta ero talmente piccola che i miei ricordi si basano solo sulle fotografie scattate dai miei genitori. Forse, è proprio per questo che ho sempre desiderato tornarci: capire il motivo di quella gioia che illuminava il mio volto in quelle vecchie foto. La scorsa settimana, finalmente, è arrivata l’occasione perfetta. Dopo anni di lavori, il vecchio luna park della contea ha riaperto i battenti, giusto in tempo per il Natale.

«Dobbiamo assolutamente andarci» mi aveva assillato Jennifer.

Lei non è solo la mia vicina di casa, è la mia migliore amica. Le voglio un mondo di bene, certo, però, alle volte, vorrei un po’ più di spazio nella nostra relazione. Non è appiccicosa, questo no, ma testarda sì. Ecco, la parola giusta è proprio testarda. Alla fine, complice la curiosità, avevo ceduto. Per cui, eccoci qui: due adolescenti che camminano, fianco a fianco, in mezzo ad un mare di luci, suoni e odori d’ogni tipo.

«Cavolo, Liz, è fantastico!» continua a ripetermi da un quarto d’ora.

Mi limito ad annuire. Non è che non mi piaccia, è solo che me lo aspettavo diverso. Non so: forse, mi sono lasciata condizionare troppo dai film e dai libri, ma a me non sembra granché. Quello che vedo è solo un mucchio di gente che va su e giù per le giostre e gli stand, nel tentativo di vincere un orsacchiotto gigante oppure un unicorno fucsia.

«Che c’è, Liz?» mi chiede Jennifer dopo un po’. «Hai atteso questo momento per tutta la vita. Non sei contenta?»

La guardo, perplessa. Vorrei davvero risponderle di sì, che mi sto divertendo un mondo. Ma sarebbe una bugia.

«Lo sono» replico, cercando di trovare le parole giuste «però, ecco, credevo fosse diverso.»

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Questa volta è lei ad essere confusa. Mi fissa come fossi un’aliena, uno strano fenomeno da baraccone.

«Non capisco, Liz. Credevo ci tenessi a venire» la sua voce si fa piccola, fatico quasi ad udirla in mezzo a questo caos. Nel suo sguardo leggo il senso di colpa di un’amica fedele.

«Non ti preoccupare» provo a rassicurarla, abbracciandola «è un problema mio, non tuo.»

Sorride. L’ultima cosa che voglio è rovinarle la serata, non se lo merita. E poi, chissà, magari troverò qualcosa che giustifichi il prezzo del biglietto. Nel frattempo, però, ci fermiamo ad osservare degli impavidi ragazzi, mentre si preparano a salire su una giostra chiamata La Torre. Non appena risuona l’allarme, vengono fiondati a tutta velocità verso il cielo. Li sentiamo gridare a squarciagola e imprecare. Entrambe restiamo col fiato sospeso e il naso all’insù, finché il meccanismo non li riporta a terra.

«Wow, incredibile!» esclama Jennifer. I suoi occhi scintillano per l’emozione. «Che ne dici, andiamo anche noi?»

Le rivolgo uno sguardo tutt’altro che amichevole.

«Neanche se mi implori in ginocchio» mi affretto a puntualizzare.

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Abbassa il capo, delusa. Le cingo le spalle con un braccio e scoppiamo in una grassa risata. Poco più in là, intravedo due ragazzi uscire, infuriati, da un tendone, simile al tipi dei nativi americani. Richiamo l’attenzione della mia amica, indicandole la scena col dito. Non se lo fa ripetere due volte: mi afferra la mano e si proietta verso di loro.

«Cos’è successo lì dentro?» chiede loro con irriverenza non appena li raggiungiamo.

Quello più basso e più affascinante dei due la guarda negli occhi, sconvolto. Poi, scuote il capo e si passa una mano fra i capelli.

«Fossi in voi non entrerei lì dentro» ribatte, ostentando una sicurezza che non ha. «Quella donna è pazza, fidatevi.»

Incuriosita, butto l’occhio sul cartello posto all’entrata.

«Per la morte e per la sorte» pronuncio, leggendone lentamente il testo. «Ma che razza di nome è?»

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Quando mi volto, i due ragazzi sono già lontani, fuggiti via a gambe levate.

«Dai, entriamo» irrompe Jennifer, trascinandomi all’interno.

Avrei dovuto immaginarlo. Ma, ormai, è tardi per tirarsi indietro. La piccola stanza in cui ci ritroviamo è avvolta nella penombra. Due candele, poste su un piccolo tavolo rotondo nel mezzo, sono l’unica fonte di luce. Ho un pessimo presentimento. Ma mi sforzo di tenerlo per me: non voglio essere considerata una fifona. Una donna, vestita di viola e con un foulard dello stesso colore avvolto tra i capelli, è seduta al tavolo. Davanti a lei, una sfera di cristallo.

«Benvenuta, Elizabeth» esordisce.

«Come fai a sapere il mio nome?» balbetto, sconvolta.

Lei si limita ad accennare un sorriso, facendomi cenno di sedermi con la mano. Mi volto verso Jennifer: è impietrita. L’istinto mi suggerisce di andarmene via il più in fretta possibile, ma la curiosità, ormai, è troppo forte. Mi avvicino alla sedia. È pesante, devo tirarla con entrambe le mani per poterla scostare.

«Sapevo che saresti venuta» continua la misteriosa figura.

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In quell’istante, la sfera prende a brillare. È accecante. Mi richiama a sé, lo sento.

«Avvicinati» mi incoraggia.

Mi lascio guidare dalle sue parole sussurrate. Non so perché lo stia facendo, è come se fossi preda di un incantesimo. Vorrei tirarmi indietro, ma qualcosa me lo impedisce. Non ho il tempo di pormi delle domande, perché, in un attimo, mi ritrovo col volto sul cristallo. La sua luce mi avvolge, mi parla. Vedo immagini scorrere davanti agli occhi. Sento un brivido risalire lungo la schiena e scuotermi fin nelle ossa, Lo stomaco è in subbuglio. Non voglio più vedere. Urlo. Ma la mia voce si perde in quel tetro bagliore. Urlo ancora, più forte. Alla fine, il suono delle mie grida mi scuote, riesco a muovermi nuovamente. Senza esitare, scosto la sedia e mi allontano.

«Andiamo via!» dico alla mia amica, afferrandola per il braccio.

Una volta fuori, mi incammino a passo spedito verso l’uscita del luna park senza voltarmi indietro.

«Liz, aspetta» prova a richiamarmi Jennifer. «Che cosa è successo? Che cosa hai visto?»

«Nulla. Andiamo» rispondo, piccata.

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Non ho altra scelta. Non posso dirle ciò che la sfera mi ha mostrato. Non posso dirle che stasera moriremo.



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