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Esattamente undici anni fa, il 20 dicembre 2013, arrivava sul mercato uno dei prodotti più controversi di Apple: il Mac Pro “cilindrico”, soprannominato “trashcan” (cestino della spazzatura) per via del suo particolare design. Questo dispositivo, pensato per i professionisti, segnò un punto di svolta radicale nella filosofia hardware di Apple, ma finì per diventare un simbolo di compromessi e scelte discutibili.


Presentato per la prima volta al WWDC 2013, il Mac Pro fece scalpore con il suo design futuristico in alluminio lucido. La struttura cilindrica era costruita intorno a un nucleo termico unificato che prometteva un’efficienza mai vista prima. Grazie a una sola ventola centrale, l’aria veniva aspirata dal basso, attraversava tutta la macchina e veniva espulsa dalla parte superiore, mantenendo il Mac Pro silenzioso anche durante carichi di lavoro intensi.

Sul palco della presentazione, Phil Schiller, vicepresidente marketing di Apple, rispose alle critiche che accusavano l’azienda di non essere più innovativa con una frase rimasta celebre:

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“Can’t innovate anymore, my ass”


UN CONCENTRATO DI POTENZA

Apple descrisse all’epoca il nuovo Mac Pro come un concentrato di potenza in un design compatto, in grado di offrire il doppio delle prestazioni rispetto al modello precedente. Dotato di processori Intel Xeon e doppie GPU AMD FirePro, il dispositivo poteva raggiungere i sette teraflop di potenza computazionale. Il tutto racchiuso in un volume di meno di un ottavo rispetto al precedente Mac Pro.


In Italia, i prezzi di lancio del Mac Pro partivano da 3.049 euro IVA inclusa per la versione base, dotata di un processore Intel Xeon E5 quad-core a 3,7GHz (con Turbo Boost fino a 3,9GHz), due GPU AMD FirePro D300 con 2GB di VRAM ciascuna, 12GB di memoria RAM e un’unità flash PCIe da 256GB.

La macchina era completamente configurabile al momento dell’ordine, con opzioni che includevano processori Intel Xeon E5 8-core o 12-core più veloci, GPU AMD FirePro D700 con 6GB di VRAM, fino a 64GB di memoria RAM e unità di archiviazione flash PCIe fino a 1TB. Le varianti disponibili all’epoca, successivamente riviste solo in parte, includevano una versione con 6-core e due GPU a partire da 3.449 euro, e una versione con 8-core e due GPU a partire da 4.649 euro.

UN SUCCESSO LIMITATO DAL DESIGN

Nonostante l’entusiasmo iniziale, il Mac Pro cilindrico si scontrò presto con la realtà dei professionisti che lo usavano. La decisione di Apple di puntare tutto sull’espansione esterna tramite porte Thunderbolt 2 si rivelò un problema. La mancanza di slot interni per aggiungere o sostituire schede grafiche, RAM o altri componenti lasciò molti utenti frustrati. Per i professionisti abituati alla modularità e alla flessibilità dei precedenti Mac Pro, il nuovo design appariva come un passo indietro.

Questa scelta, combinata con l’impossibilità del dispositivo di adattarsi ai cambiamenti delle tecnologie hardware, ne decretò il fallimento. Anche Apple sembrò non sapere come migliorarlo: per sei anni, dal 2013 al 2019, il “trashcan” non ricevette aggiornamenti significativi, rimanendo sostanzialmente invariato.

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Nel 2017, in un raro momento di autocritica, Apple ammise pubblicamente il fallimento del progetto. Durante un incontro con la stampa, Craig Federighi affermò che il design del Mac Pro cilindrico aveva limitato le possibilità di aggiornamento e non rispondeva adeguatamente alle esigenze dei professionisti:

Volevamo fare qualcosa di audace e diverso, ci siamo ritrovati intrappolati all’interno di una forma circolare

Il colpo di grazia arrivò nel 2019 con il lancio di un nuovo Mac Pro modulare, che tornò a un design (ironicamente chiamato “grattugia”) a torre più simile ai modelli delle precedenti generazioni, ma aggiornato con una struttura altamente personalizzabile, otto slot PCIe e un sistema di raffreddamento più tradizionale.


Nonostante il suo fallimento, il Mac Pro cilindrico non è stato del tutto dimenticato. Molti degli obiettivi che Apple aveva con questo prodotto—un dispositivo compatto, potente e con espansione esterna—sono stati realizzati più efficacemente con il Mac Studio, lanciato nel 2022. A distanza di undici anni, il “trashcan” rimane comunque una lezione per Apple e per l’intero settore tecnologico: l’innovazione, per quanto audace, deve sempre bilanciarsi con le necessità reali degli utenti.



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