«Aree inquinate, sequestro legittimo: imminente minaccia ambientale»

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Albertini, la sentenza della Cassazione. «Non ha attuato misure di prevenzione. Bonifica? Accordi violati»

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«Non è necessario che il titolare del bene sottoposto a vincolo reale coincida con l’autore del reato per cui si procede», chiarisce la Cassazione. Il sequestro probatorio «quale mezzo di ricerca e assicurazione della prova, prescinde dalla necessità che il titolare del bene e l’autore del reato coincidano». Concetto, questo, che la giurisprudenza di legittimità aveva già chiarito, pertanto poco conta che l’inquinamento risalga a oltre quarant’anni prima e la società proprietaria del sito (l’aveva acquistato nel ‘95) non sia responsabile.

Il ricorso

La Corte parte da uno dei punti chiave del ricorso del patron della Tim srl, Michele Albertini, per confermare la legittimità del sequestro probatorio delle aree inquinate di Trento nord, ex Sloi ed ex Carbochimica. Il collegio, presieduto dal giudice Luca Ramacci, attuale presidente di Sezione presso la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, e grande esperto in materia ambientale, ha respinto il ricorso presentato dalla società trentina, dichiarando infondati il primo e il quarto motivo e inammissibili gli altri. In un lungo e articolato ricorso gli avvocati della società trentina, Guido Camera e Giuliano Valer, avevano contestato il provvedimento dei pm Davide Ognibene e Alessandro Clemente, e confermato dal gip, con il quale il 28 novembre 2023 erano stati posti i sigilli all’area.




















































Il sequestro

Nelle undici pagine di sentenza i giudici ricordano alcuni passaggi importanti della motivazione del provvedimento di sequestro e sottolineano il fatto che «le indagini tecniche avevano evidenziato il superamento nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque di falda dei limiti stabiliti per il piombo tetraetile e il mercurio e la presenza — si legge nel documento — di idrocarburi». Il Tribunale «ha dato atto — scrive ancora la Corte — sia della mancata attuazione delle misure di prevenzione, sia della mancata esecuzione delle attività di indagini volte ad accertare la diffusione della contaminazione, attività necessarie in ragione della, pacifica, situazione di imminente minaccia di danno ambientale».

Il diktat della Cassazione «certifica» il rischio ambientale dei due Sin sui quali i proprietari sarebbero dovuti intervenire ma non lo avrebbero fatto. Albertini avrebbe anche dovuto procedere alla bonifica, «in forza di accordi di programma intervenuti tra Provincia, Comune e i proprietari dell’area». Sussiste quindi, non solo il reato di omessa comunicazione «di imminente minaccia ambientale», come sottolineato dalla Procura, ma anche di «omessa bonifica e tale rilievo — scrive ancora la Cassazione — non è stato sottolineato nel ricorso» della Tim srl che si sarebbe limitata a evidenziare l’estraneità della società all’originaria contaminazione dell’area.
Nel ricorso la società aveva contestato anche la proporzionalità della misura ablativa adottata dalla Procura, il sequestro secondo Albertini era un provvedimento sproporzionato, considerata «la piena collaborazione negli accertamenti», ma il Tribunale «ha dato atto in modo sufficiente sia delle necessità di mantenere il vincolo» per potere effettuare i campionamenti necessari (l’inquinamento è diffuso), sia «della mancanza di collaborazione da parte della società».

In sintesi la presunta inerzia della proprietà dell’area avrebbe spinto la magistratura a dover intervenire con un sequestro. Il provvedimento era stato confermato dal Tribunale del Riesame, ma i giudici avevano indicato un reato diverso da quello ipotizzato dalla Procura, che ha aperto un’inchiesta per inquinamento ambientale (come previsto dall’articolo 452 bis del codice penale). Il Riesame aveva evidenziato una violazione dell’articolo 257 del Codice dell’ambiente. La sostanza cambia poco. Secondo gli accertamenti dei carabinieri del Noe di Trento e dei tecnici di Appa, i cinque proprietari delle due aree non avrebbero ottemperato all’ordine del ministero dell’Ambiente del 2020 di effettuare ulteriori analisi e interventi finalizzati a verificare la propagazione dell’inquinamento. L’attenzione è puntata soprattutto sulle 180 tonnellate di piombo tetraetile che hanno permeato il terreno e possono contaminare anche le acque sotterrane dell’area a valle di proprietà della società Sequenza, tanto che a fine agosto il Comune di Trento aveva adottato un’ordinanza con la quale aveva intimato alle società Tim, Imt, Mit, Nilupa, Vem e Albatro, proprietarie dell’area ex Sloi di Trento di intervenire per evitare la contaminazione del compendio da 2,8 ettari dove il gruppo Podini vorrebbe realizzare un quartiere da cento milioni. Ora la sentenza della Cassazione «certifica» l’inquinamento dell’area, la bontà del provvedimento di sequestro e la presunta inerzia dei proprietari. Sul tavolo resta l’esproprio che anche alla luce del diktat della Corte, sembra l’unica ipotesi percorribile.

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