Se la destra sociale si innamora del liberista

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Il periodo di Natale, per sua natura, induce alla riflessione, ma soprattutto alla malinconia. Tutto passa. Non succede mai niente. Fortuna che c’è sempre la politica italiana a regalare autentici momenti di buonumore.

Tra gli avvenimenti più spassosi degli ultimi giorni – oltre alla censura fantozziana del Pd romano ai danni di Toni Effe, che ha trasformato un rapper (scarso) dalla sua dimensione di scappato di casa a quella di martire della libertà di espressione – c’è la kermesse di “Atreju”, manifestazione politica di Fratelli d’Italia. E in particolare l’esibizione del presidente dell’Argentina Javier Gerardo Milei, che con notevole presenza scenica ha infiammato la foltissima platea, diventando seduta stante uno dei riferimenti più scintillanti del Pantheon della nuova destra italiana.

E fin qui, in un paese normale, sai che notizia. Ma qua, come noto, siamo in una repubblica delle banane nella quale non esiste più alcun riferimento culturale solido e duraturo e dove ormai da anni si surfa sulle questioni, si inseguono le mode, si vellica la panza della “gente” senza alcuna attinenza con la propria cultura. Ed è una vera tristezza constatare che anche gli ultimi partiti che avevano delle radici a cui aggrapparsi – Pd, Lega, Fratelli d’Italia – se ne vadano per la tangente e svolazzino su mondi che non c’entrano nulla con la loro storia.

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Ora, il liberismo, l’ultra liberismo, il turbo capitalismo, l’onda travolgente degli spiriti animali, il dominio incontrastato del mercato e l’assoluta emarginazione dello Stato sono, per evidenti ragioni storiche, temi portanti della cultura non solo economica, ma addirittura etica, esistenziale del mondo anglosassone: Gran Bretagna e Stati Uniti. E lì hanno in effetti un senso compiuto. La Thatcher non poteva che nascere lì. Reagan non poteva che nascere lì. Non altrove. Lì e soltanto lì. E’ un fenomeno di grande impatto, formidabile nel liberare la creatività e la voglia di riuscire dei coraggiosi, terribile e spietato nei confronti di chi non ce la fa. Può non piacere. Può essere giustamente criticabile. Ma ha un senso. Interpreta un mondo. Porta in scena il richiamo della foresta di una cultura profonda.

Quando questa filosofia di vita viene invece importata in altri orizzonti, rischia di diventare eversiva e, soprattutto, macchiettistica. Il sud America, l’Argentina in particolare, è da decenni che produce a corrente alternata personaggi come Milei – o come il suo opposto – tutta gente che inizia vestita da Napoleone con lo scolapasta in testa e che poi finisce inseguita dai forconi, presa a pentolate o appesa a piazzale Loreto. Esito inevitabile dello scimmiottamento di concetti ultraliberisti in società dove mancano i fondamentali economici, politici e culturali del liberismo e che lo fanno quindi diventare avanspettacolo, circo, sceneggiata. Ma pure qui, sai che novità.

La cosa invece davvero amena è come la platea di “Atreju” si sia spellata le mani per un soggetto che ululava slogan che rappresentano l’esatto contrario, ma proprio l’esattissimo contrario, di quella platea stessa che lo applaudiva. E che con tutta probabilità non capiva cosa stesse applaudendo. Milei che, come Grillo, infanga tutti i politici perché sono delle merde, delle zecche, dei parassiti che succhiano ricchezza alla società e tutti ad applaudire, comprese le prime file piene zeppe di politici. Milei che vuole rinunciare alla sovranità monetaria e dollarizzare l’economia e tutti ad applaudire, anche se per lunghi anni hanno invocato l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira. Milei che firma con la Von der Leyen l’accordo di libero scambio tra Europa e Mercosur e tutti ad applaudire, anche se la Meloni ha già detto che voterà contro. Milei che ogni giorno liberalizza affitti, taxi, trasporti, aerei, importazioni, commercio al dettaglio, licenze eccetera e tutti ad applaudire, anche se Fratelli d’Italia e la destra in generale tiene il paese impastoiato ai limiti di un’infrazione comunitaria pur di difendere la rendita di posizione di categorie parassitarie quali gli specchiati balneari (risate), gli eroici tassinari (risate) e i milioni di evasori fiscali “taglieggiati dal pizzo di Stato” (risate).

E più Milei trombonava il suo decalogo ultraliberista e più la platea strabordava e amoreggiava e si sdilinquiva su questo gran pezzo di statista, più a noi poveri liberali veniva da ridere ripensando ai recenti, e meno recenti, contorcimenti della destra nostrana, ma anche di una parte della sinistra, a favore del contante e viva il contante e vade retro carte di credito e banche cattive e ci togliete la libertà e chi pensa alle povere vecchine con i loro euro nell’elastico e chi pensa ai poveri pensionati con i risparmi nel materasso e vergogna e mascalzoni e basta con lo spionaggio della fatturazione elettronica, che l’ha inventata Renzi e visto che Renzi è il demonio allora non va bene anche se fa recuperare un sacco di evasione. E viene ancora più da ridere, sempre a noi poveri liberali sparuti e perseguitati, vedere la platea osannante di cui sopra depositare un disegno di legge per imporre la chiusura di alcuni esercizi commerciali nei giorni delle sei principali festività – “perché bisogna salvaguardare la famiglia” (risate) – manco fossimo nella Bulgaria degli anni Cinquanta, dimenticando che nella società moderna ci sono decine e decine e decine di categorie che in quei giorni lavorano.

Ce ne siamo fatte di risa, ad “Atreju”. Che si è tanto innamorata di Milei perché dice peste e corna della sinistra. Senza accorgersi che in Italia, stringi stringi, le politiche economiche della destra sono uguali a quelle della sinistra e che, stringi stringi, a proposito di Stato padrone, dominio degli amichetti e perfetto immobilismo corporativo la destra è uguale alla sinistra. E che se la Thatcher piombasse per miracolo nella repubblica delle banane prenderebbe tutti quanti a pedate nel sedere: la sinistra, la destra e, soprattutto, Milei.

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