illegittimità della norma e conseguenze sulle procedure

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Con la sentenza n. 211/2024, depositata il 20 dicembre, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 378, della legge n. 178 del 2020. La norma aveva introdotto una disciplina speciale per le procedure esecutive e concorsuali riguardanti immobili destinati all’edilizia residenziale pubblica (ERP) convenzionata, prevedendo l’improcedibilità delle stesse in mancanza di determinati requisiti.

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Corte costituzionale- sentenza n. 211 del 20/12/2024


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La norma censurata i suoi effetti

La disposizione prevedeva che, qualora una procedura esecutiva fosse stata avviata da un istituto di credito erogatore di un mutuo fondiario, il giudice dovesse verificare la conformità del mutuo ai criteri fissati dall’art. 44 della legge n. 457/1978, nonché l’iscrizione dell’istituto di credito in un elenco ministeriale delle banche convenzionate presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In caso di mancanza di uno solo di questi requisiti, la procedura esecutiva o concorsuale sarebbe stata dichiarata immediatamente improcedibile.  L’obiettivo dichiarato della norma era garantire il rispetto dei vincoli pubblicistici e delle finalità sociali legate agli immobili ERP. Tuttavia, il meccanismo sanzionatorio adottato ha sollevato molteplici problematiche di legittimità costituzionale, come evidenziato dal Tribunale di Ravenna, che ha sollevato la questione di costituzionalità. 


Le questioni sollevate dal Tribunale di Ravenna

Il giudice rimettente aveva denunciato l’irragionevolezza e la sproporzione della norma sotto diversi profili. La norma era formulata in modo ambiguo, con riferimenti a un elenco ministeriale mai istituito, rendendo difficile la sua applicazione pratica. Inoltre, la sanzione di improcedibilità impediva ai creditori, anche non fondiari, di far valere i propri diritti, violando il principio di effettività delle tutele giurisdizionali sancito dall’art. 24 Cost. La disposizione introduceva, poi, una disparità di trattamento tra creditori fondiari e altri creditori, penalizzando quest’ultimi per mancanze non imputabili a loro, come l’inerzia del creditore fondiario o la mancata conformità del mutuo.  Tale situazione creava un’eccessiva discrezionalità in capo al creditore fondiario, che avrebbe potuto arbitrariamente bloccare le procedure esecutive semplicemente non partecipandovi. La norma risultava quindi non solo irragionevole, ma anche potenzialmente lesiva dei diritti degli operatori economici e della stessa certezza del diritto.  

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Manuale pratico dell'esecuzione mobiliare e immobiliare



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Avvocato, già cultrice di diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Bari, ha svolto incarichi di docenza in molti corsi di formazione ed è legale accreditato presso enti pubblici ed istituti di credito. È autrice di numerose pubblicazioni e monografie.

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Il ragionamento della Corte Costituzionale

La Consulta ha accolto le censure del Tribunale di Ravenna, sottolineando in primo luogo l’irragionevolezza e la sproporzione della norma rispetto agli obiettivi perseguiti. L’assenza di un elenco ministeriale operativo rendeva la disposizione di fatto inapplicabile. Tale mancanza creava un requisito inesigibile che non poteva costituire una legittima condizione di procedibilità delle procedure esecutive.   Sul piano del diritto di difesa, i giudici hanno rilevato che la sanzione di improcedibilità comprometteva il diritto dei creditori di ottenere soddisfazione dei propri crediti attraverso il processo esecutivo. La Corte ha inoltre criticato l’inefficacia del meccanismo previsto dalla norma nel garantire le finalità pubblicistiche sugli immobili ERP. L’obiettivo di assicurare il rispetto dei vincoli sociali non risultava chiaramente perseguito, mentre gli ostacoli procedurali introdotti finivano per penalizzare i creditori senza offrire reali garanzie per gli interessi collettivi.  

L’improcedibilità come sanzione sproporzionata

Parte centrale del ragionamento dei giudici della Corte Costituzionale aveva ad oggetto la sanzione. Secondo la Corte, questa non era solo eccessiva, ma anche controproducente. Il creditore fondiario, anche qualora non avesse rispettato i requisiti di legge, avrebbe comunque potuto beneficiare della garanzia dello Stato, mentre gli altri creditori avrebbero subito un pregiudizio ingiustificato.  Inoltre, il meccanismo previsto dal comma 378 si traduceva in una sorta di “impignorabilità temporanea” degli immobili ERP, con effetti distorsivi sul sistema delle garanzie e sulla certezza del diritto, incompatibilmente con il principio di ragionevolezza, in quanto attribuiva al creditore fondiario un potere eccessivo di condizionare il corso delle procedure, a scapito degli altri creditori.  
La Consulta ha colto l’occasione per ribadire l’importanza della chiarezza e della coerenza normativa: una norma “irrimediabilmente oscura” – come definita nel caso di specie – viola il principio di ragionevolezza, in quanto incapace di offrire indicazioni operative chiare e univoche ai suoi destinatari.

Conclusione

In definitiva, la Corte Costituzionale ha sottolineato come la norma censurata non solo fosse irragionevole nella sua formulazione e nei suoi effetti pratici, ma introducesse anche un meccanismo che violava la proporzionalità delle sanzioni rispetto agli obiettivi perseguiti. La mancata chiarezza sul rapporto tra finalità pubblicistiche e strumenti giuridici ha reso il comma 378 un esempio di legislazione confusa e potenzialmente dannosa, capace di compromettere la fiducia degli operatori economici e di alterare il bilanciamento tra diritti individuali e interessi collettivi. La decisione della Corte non elimina l’importanza di regolare adeguatamente le procedure esecutive relative agli immobili ERP, ma invita il legislatore a ripensare le norme in questa materia con maggiore attenzione all’effettività delle tutele.

 





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