Intelligenza artificiale, capirla meglio con un racconto di Primo Levi

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Che cosa distingue un essere umano da una macchina? Questa è la domanda escatologica, la questione cruciale in un momento storico dove ancora si deve capire quale potrà essere l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale.

L’urgenza di dare una risposta, amplificata dalla pervasività delle reti di informazione, porta o a generalizzazioni difensivistiche (“una macchina non sarà mai in grado di pensare come una persona, punto”), oppure a profezie inquietanti (“le macchine ci domineranno, l’Intelligenza Artificiale Generale è già una realtà”) senza riuscire a spiegare bene il come e il perché delle une e delle altre. ù

La società delle keyword tende ad accontentarsi della superficialità polarizzante, e riferimenti culturali come Elon Musk, che incentivano ed addirittura esaltano le non-risposte, sono l’emblema di questa pericolosa semplificazione.   

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Intelligenza artificiale, il nostro rapporto con le macchine

Io credo che per capire il nostro rapporto con le macchine occorra prima di tutto smettere di avere la tecnologia come punto di partenza. L’evoluzione tecnologica è troppo veloce e qualsiasi previsione si possa fare sarà sicuramente superata prima che si possa sedimentare.

Occorre fare uno “zoom out”, partire dal nostro modo di pensare, dal nostro approccio mentale a problemi semplici o complessi, e comprendere poi come in questo si possano innestare le macchine. D’altra parte, è stato il pensiero umano a concepire le macchine stesse sin dall’inizio dei tempi: la ruota non nasce da sola ma è frutto di una elaborazione umana per risolvere un problema pratico.

Sistema Zero, un nuovo approccio all’AI

Recentemente un gruppo di ricercatori italiani, guidati da Massimo Chiriatti, ha pubblicato su “Nature” un paper che va in questa direzione e costruisce un approccio originale al rapporto tra esseri umani e macchine, definito “Sistema Zero”. Il punto di partenza è il lavoro di Daniel Kahneman, Premio Nobel per l’economia, ritenuto il padre della cosiddetta “finanza comportamentale”. Kahneman definisce due tipologie di pensiero: intuitivo e razionale. Il pensiero intuitivo è veloce, automatico, senza sforzo e difficile da controllare, mentre il pensiero razionale funziona in maniera lenta, sequenziale e controllata. Il primo viene definito “Sistema Uno” e il secondo “Sistema Due”. I due pensieri interagiscono tra loro e quello razionale ha il compito di regolare quello intuitivo, che potrebbe essere soggetto a condizionamenti esterni, i cosiddetti bias. 

Le teorie di Kahneman nascevano però in un’epoca dove le macchine (intese per macchine elettroniche) non esistevano ancora, e dove non era pensabile parlare di rapporto uomo-macchina nel modo in cui se ne può parlare oggi.

Gli autori, partendo dal fatto che la nostra relazione con gli strumenti digitali, e più recentemente con i modelli AI, sia diventata molto profonda, quasi simbiotica, identificano un terzo sistema, chiamato appunto “Sistema Zero”, costituito proprio da questi strumenti, che ha una sua capacità distintiva di interazione con le persone e con l’ambiente esterno. Viene definito addirittura una “estensione della mente umana” con capacità superiori però in termini di flusso informativo, affidabilità e soprattutto “trasformazione”, cioè aumento delle capacità cognitive.

Il Sistema Zero non è però, cosa importantissima, un’altra tipologia di pensiero, ma uno strumento che differisce in modo rilevante dal Sistema Uno e dal Sistema Due per la sua mancanza di “senso”. Riesce a processare dati con grandissima efficienza ma non ne capisce in alcun modo il significato, e la sua capacità di generare degli output sensati è totalmente legata a criteri interpretativi umani.

Intelligenza artificiale ante litteram, Il Versificatore di Primo Levi

La consapevolezza della mancanza di immaginazione delle macchine è una qualità chiave che i totalitaristi dell’AI dovrebbero imparare ad avere. Il Sistema Zero va compreso e governato ed è importante mettere sempre in discussione i suoi output per evitare di cadere in una pericolosa sudditanza intellettuale. 

Nel 1966 Primo Levi, noto ai più per i suoi romanzi sulla memoria degli orrori nazisti ma anche visionario autore di opere di fantascienza, scriveva un racconto intitolato “il Versificatore” dove immaginava con incredibile precisione quello che oggi sono l’intelligenza artificiale generativa e gli strumenti come ChatGPT (il racconto fu pubblicato all’interno della raccolta Storie Naturali firmata con lo pseudonimo Damiano Malaibaila).

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Sessant’anni prima del Sistema Zero, definiva con chiarezza quasi profetica la differenza di senso tra essere umano e macchine e anche la dipendenza che le macchine provocano a chi non le mette in discussione.

Il Versificatore è una macchina prodotta da una misteriosa azienda tecnologica americana, la NATCA con sede a Fort Kiddiwanee in Oklahoma (luogo ovviamente inventato), in grado di realizzare poesie semplicemente impostando la lunghezza del verso e lo schema della strofa e delle rime. La somiglianza con gli attuali modelli linguistici come ChatGPT è impressionante, sia per le modalità di input testuali che per l’output quasi magico (ivi comprese le cosiddette allucinazioni). 

Il racconto è strutturato come una pièce teatrale dove i personaggi sono un poeta che scrive su commissione ed è alla disperata ricerca di ispirazione, la sua segretaria e Mister Simpson, il rappresentante della NATCA.

Il racconto diventò uno sceneggiato tv, che si può vedere qui:

Il poeta, a corto di idee e pressato dai suoi committenti, da subito e senza alcun senso critico inizia ad utilizzare il Versificatore per produrre in velocità sonetti adatti a ogni occasione. L’urgenza di portare un risultato e la mancanza di giudizio lo rendono accondiscendente verso gli errori spesso grossolani che la macchina commette, accettati come inevitabili effetti collaterali del progresso.

La segretaria, libera da pressioni e culturalmente legata alle modalità analogiche di creazione della poesia, mette in discussione l’operato della macchina che giudica incapace di avere gusto e sensibilità (il “senso” di cui si parlava prima). Ad un certo punto la sfida a produrre una poesia “a tema libero” per capire se sia in grado di ragionare in modo autonomo, ottenendo come risposta un sonetto sboccato e irriverente (oggi si parlerebbe di bias del Sistema Zero dovuto ai dati di input e agli algoritmi).

Mister Simpson aiuta a risolvere i problemi della macchina, cambiandone i parametri di input per ottenere risultati migliori, ma di base vuole vendere e tende a magnificarne più gli aspetti positivi dei possibili rischi, raggiungendo alla fine il suo obiettivo.

Tre personaggi che rappresentano la polarizzazione di oggi

I tre personaggi sono una perfetta rappresentazione delle polarizzazioni di oggi, con i tecnoentusiasti guidati dai bisogni di breve periodo che subiscono acriticamente le macchine, gli umanisti e gli eticisti che le guardano con preoccupazione e mettono in guardia sui rischi, e i vendor che spingono per il loro utilizzo in modo sempre più esteso, con una narrazione martellante che traguarda un futuro che non può che essere positivo.  

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Il racconto di Primo Levi dipinge uno scenario, non offre soluzioni ma è rivoluzionario per un paio di ragioni. In primo luogo, è una rappresentazione potentissima della forza dell’immaginazione, che nel 1966 aveva saputo creare qualcosa che solo oggi è diventata realtà. Sicuramente, e di questo possiamo essere certi, un modello AI di oggi non saprebbe immaginare il Versificatore o comunque qualcosa che si concretizzerebbe tra sessant’anni.

In secondo luogo, identifica non a caso una disciplina o meglio un’arte, la poesia, che è quanto di più qualitativo possa esistere, parte da una metrica ma poi sfugge completamente a parametri logici. La poesia vera, come anche la vera musica, nasce dal pensiero profondo, da una combinazione alchemica di Sistema Uno e Due, e non ha bisogno di Sistemi Zero per toccare il cuore di chi la legge e l’ascolta. Un’altra cosa di cui possiamo essere certi è che l’AI potrà produrre miliardi di sonetti o di canzoni ma mai grande poesia o grande musica.

Come mi ha detto proprio un grandissimo musicista, Nicola Piovani, “l’intelligenza artificiale sostituirà solo i musicisti mediocri”.



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