L’ultimo segnale esplicito dell’interesse verso l’Italia lo ha dato la visita di tre giorni alla fine di ottobre tra Roma, Milano e Cernobbio per incontrare membri del governo, esponenti dell’imprenditoria nazionale e partecipare alla seconda edizione della conferenza internazionale Comolake sulle nuove sfide tecnologiche. Lui è Bandar Ibrahim AlKhorayef, il ministro saudita dell’Industria e delle risorse minerarie, il plenipotenziario della ricchissima industria petrolifera sotto la regia del principe Mohammad Bin Salman, ultimo erede della dinastia wahhabita.
Non è un mistero che le relazioni tra Italia e Arabia Saudita si stiano progressivamente espandendo, perché il Regno mediorientale è liquido come pochi, essendo il principale esportatore di greggio al mondo, e può investire in aziende e infrastrutture attraverso il suo ricchissimo fondo sovrano Pif. Nel 2023 e nel 2024 ci sono state diverse visite di alto livello, anche se è saltata quella più prestigiosa a Riad della premier Giorgia Meloni, ipotizzata per aprile scorso e poi naufragata all’ultimo per alcune considerazioni di opportunità legate al modo in cui vengono trattati gli oppositori politici. Il caso del giornalista Jamal Khashoggi, ferreo accusatore del principe saudita scomparso (a dire il vero assassinato…) in maniera misteriosa nel 2018 nel consolato di Istanbul, non si è ancora sopito. Ma inevitabilmente prevale la realpolitik, anche in considerazione del fatto che l’Arabia Saudita era in procinto di normalizzare i rapporti con Israele grazie alla regia americana prima che deflagrasse di nuovo il conflitto in Medio Oriente.
Il ruolo dell’Arabia Saudita e i suoi progetti per il futuro
D’altronde Riad è vista come un avamposto islamico, di rito sunnita, dialogante con l’Occidente e al tempo stesso fortemente blandito da Russia e Cina per la sua potenza energetica: dunque da coccolare affinché non transiti dall’altro lato dello scacchiere internazionale. Nell’ultimo Forum internazionale di Davos Riad è stata l’indiscussa protagonista, accolta con grandi onori dall’organizzazione svizzera. Emissari del principe MBS hanno presentato la Saudi Vision 2030, la visione per diversificare l’economia del Paese arabo, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili. Un progetto faraonico su tutti, il The Line, definito «il futuro del vivere urbano»: una nuova città per ospitare 9 milioni di abitanti, costruita su una striscia lunga 170 chilometri, dalle montagne di Neom fino al Mar Rosso, alta 500 metri ma larga appena 200 metri, senza strade e senza auto. Collegata a una «marina nascosta» nel deserto. A presentarla è stato direttamente Mohammed Al-Jadaan che, oltre al ministero delle Finanze, guida tre programmi per realizzare la Saudi Vision (il programma per lo sviluppo del settore finanziario, per la sostenibilità fiscale e per le privatizzazioni). A Davos, a gennaio scorso, è rimasto per tutta la settimana, con un’agenda fitta di incontri non solo con investitori, ma anche con esponenti politici, incluso il ministro delle Finanze italiane Giancarlo Giorgetti. L’occasione è servita anche per rendere nota una commessa da 4,7 miliardi vinta dall’italiana Webuild, tra i cui soci figura la pubblica Cassa Depositi e Prestiti, per costruire un sistema di dighe per un lago artificiale e una struttura che ospiterà hotel e residenze di lusso.
Gli investimenti sauditi in Italia negli ultimi anni
Nonostante l’annuncio che nel prossimo futuro il Pif intende ridurre dal 30% al 20% la quota di investimenti internazionali, il ministro ha apertamente dichiarato che gli investitori sauditi sono a caccia di affari in Italia. Vogliono investire nella tecnologia e nei nuovi settori industriali. Con un duplice obiettivo: entrare nel capitale delle aziende italiane, ma anche portare il know how delle imprese tricolori in Arabia Saudita, perché investano e lavorino ai progetti nel Paese. Mettere in fila gli investimenti in Italia negli ultimi anni fa quasi impressione. Il Public Investment Fund ha acquisito il 49% di Rocco Forte Hotel detenuto dall’italiana Cdp Investimenti. A dicembre 2023 un veicolo collegato al fondo ha rastrellato 8,8 milioni di azioni di Technogym da investitori istituzionali e ha sottoscritto un derivato per rilevare altri 3,3 milioni di azioni: investimento da 111 milioni di euro. La scorsa primavera il fondo saudita è entrato con una quota del 33% negli yacht Azimut Benetti. Nel 2021 è entrato con una quota di minoranza nella Horacio Pagani, la casa modenese delle hypercar fondata e guidata dall’imprenditore argentino. Senza dimenticare la joint venture con Pirelli (la Bicocca ha il 25%) per la costruzione di una fabbrica di pneumatici in Arabia Saudita che dovrà sfornare a partire dal 2026 circa 3,5 milioni di pezzi all’anno.
Si è parlato anche della possibilità che il fondo saudita Pif investa nel Fondo Strategico per il made in Italy, che il governo Meloni sta creando e in fase di ultimazione. «Ho registrato un forte interesse e personalmente sono abbastanza ottimista», ha detto Valentino Valentini, viceministro per il Made in Italy.
La collaborazione tra i due Paesi si chiarisce meglio con i venti accordi firmati con società italiane, tra le quali figurano la multinazionale genovese Rina, attiva nell’ambito nautico, l’impresa chimica lombarda Italmatch Chemicals e Industrie de Nora, che da Milano fornisce elettrodi per processi elettrochimici industriali, di cui è il primo esportatore al mondo. Nel settore dell’energia sono stati coinvolti A2A ed Eni, che ha siglato un accordo con BinShihon Group, una delle più grandi aziende private dell’Arabia Saudita, per diventare il suo licenziatario esclusivo nel Regno.
Gli investimenti in occidente come scelta di politica internazionale
«Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, è normale che nuovi Paesi, quando si affacciano sulla geografia politica del mondo, vogliano investire in Occidente. Lo hanno fatto anche i cinesi e negli anni 70 aveva iniziato con la Libia di Gheddafi», osserva Stefano Caselli, direttore della Sda Bocconi. «È sotto gli occhi di tutti il fatto che l’Arabia Saudita voglia diventare una piattaforma di real estate, intrattenimento, turismo e attrazione di interesse: abbiamo visto con quale determinazione si è portata a casa Expo 2030».
E l’Italia ha tutte le caratteristiche per essere un buon investimento, secondo Caselli: «Siamo ricchi di brand, possiamo essere un buon partner commerciale. Siamo noi italiani, semmai, che spesso ci dimentichiamo di investire nel nostro Paese». Il professore mette però in guardia: «Spetta a noi non essere passivi nelle scelte di governance delle aziende dove investe l’Arabia Saudita. L’Italia deve usare quegli investimenti per far crescere occupazione e pil». I sauditi hanno iniziato da poco a produrre anche automobili con Lucid e Hyundai. E hanno bisogno di molti fornitori per i componenti: la filiera italiana è estremamente ricercata, legata da sempre alla Fiat. L’anno scorso i sauditi hanno firmato un accordo con l’italiana Brilli per una fabbrica in Arabia Saudita. Ma anche la farmaceutica, i servizi minerari e le energie rinnovabili sono settori di punta nell’innovazione tecnologica che fanno gola a Riad. Tutto questo sarà aiutato dal capitale umano: oggi, quasi il 70% della popolazione saudita ha meno di 30 anni e non è una variabile di poco conto visto l’invecchiamento anagrafico che colpisce l’Europa.
Cosa prevede la Saudi Vision 2030
Saudi Vision 2030 è il mastodontico programma lanciato dalla leadership saudita e, in particolare dal principe ereditario Muhammad Bin Salman, spesso definito come una serie di progetti che mirano a rendere il Regno dell’Arabia Saudita indipendente dalle sue risorse petrolifere. Uno dei grandi progetti è Neom, la gigantesca e futuristica città che dovrebbe essere pronta nel 2025, il cui nome in arabo Nyum, combina la parola new e mustaqbal “futuro”.
L’obiettivo a lungo termine del Regno è rendere l’Arabia Saudita il Paese guida del mondo islamico. Un Paese dove sono localizzate Mecca e Medina e il re, non a caso, è “il custode delle due sacre moschee”. Attraendo nel Paese investimenti diretti esteri, diventando un hub della logistica a livello globale, sfruttando le risorse naturali presenti come oro, fosfato e uranio. Quest’ultimo elemento richiama la volontà saudita di lanciare un proprio programma nucleare, al momento solo a scopo civile.
Infine, la volontà è anche quella di creare coinvolgimento tra i giovani. I dati demografici dell’Arabia Saudita mostrano come il 23% della popolazione abbia tra gli zero e i 14 anni e, più in generale, quasi il 70% dei Sauditi abbia meno di trent’anni. La primavera araba non aveva risparmiato l’Arabia Saudita pochi anni fa: nel 2011 poco dopo le proteste di gennaio in Oman, anche il Regno dovette affrontare un’ondata di dissenso e il ricordo è ancora vivido. Ecco perché Mohammad Bin Salman ha voluto l’apertura al suffragio femminile nel 2015 e la cessazione del divieto di guida per le donne nel 2018. Un modo anche per creare consenso e conservare il potere mettendo a tacere ogni tentativo di opposizione.
Articolo pubblicato sul numero di Business People di dicembre 2024. Scarica il numero o abbonati qui
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