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Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), non si ricandiderà alle elezioni del Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” dell’organismo di rappresentanza di giudici e pm, rinunciando quindi in partenza a un (difficile) secondo mandato. La notizia, già nota da mesi agli addetti ai lavori, è stata confermata dall’interessato in un’intervista al Corriere della sera: “Quattro anni di impegno intensissimo e faticoso, seppure molto gratificante, sono sufficienti, e credo che nella difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura occorra evitare ogni personalizzazione. Perciò è giusto che altri prendano le redini della rappresentanza”, dice. Il voto per il prossimo Direttivo è in programma dal 26 al 28 gennaio: è probabile che a ottenere la maggioranza sia il gruppo conservatore di Magistratura indipendente, a cui quindi spetterà esprimere il prossimo presidente (Santalucia è esponente dei progressisti di Area).
Il cambio alla guida dell’Anm arriva in un periodo tesissimo dei rapporti politica-magistratura, segnato da continui attacchi del governo alle toghe per indagini e processi sgraditi. Le ultime occasioni sono state il proscioglimento di Matteo Renzi nel processo sulla Fondazione Open e l’assoluzione in primo grado di Matteo Salvini per il caso Open Arms: a questo proposito, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che il procedimento a carico del vicepremier leghista era “fondato sul nulla” e “non sarebbe neanche dovuto iniziare“. “I processi si fanno per provare una responsabilità, se non ci si riesce arriva l’assoluzione, che non può essere una patologia. Solo il processo può stabilire la verità giudiziaria, non il ministro”, replica Santalucia. Il magistrato respinge anche l’idea, lanciata da Nordio, di una legge per costringere i pm a risarcire imputati poi assolti: si tratta, dice, di “forme surrettizie per arrivare all’esito sotteso alla separazione delle carriere: controllare e condizionare il pm, che, rischiando una richiesta di danni a fronte di un’eventuale assoluzione, finirà per chiedersi chi glielo fa fare”.
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