Eni guarda al Far East per il gas e la bioraffinazione. Il piano Enel su idroelettrico e nucleare. Sabella: “Crisi auto Ue fino 2035”. Il futuro di FS e la partita dell’AV. La rassegna Energia
Eni guarda al Far East per vincere la sfida di rilanciare la chimica, unica attività in perdita. Infatti, il Cane a sei zampe ha diverse attività di esplorazione in Indonesia, vende buona parte del Gnl in Asia, Giappone in primis. Inoltre, costruirà due bioraffinerie in Malesia e Corea del Sud. Enel si troverà ad affrontare due grandi sfide nel 2025: le concessioni idroelettriche e il nucleare. La Legge di Bilancio prevede l’estensione delle concessioni fino a 20 anni, ma c’è da superare lo scoglio della Commissione Ue. Enel in base al piano strategico prevede di investire oltre 16 miliardi per l’Italia. Altre fronte caldo è quello del nucleare. Infatti, a breve sarà firmato il term-sheet della newco che studierà le tecnologie di nuova generazione a maggioranza Enel (51%), con la partecipazione di Ansaldo (39%) e Leonardo (10%). Il settore automotive europeo vive da vent’anni una crisi d’identità. L’Ue alla fine cambierà le norme sulle sanzioni e gli altri regolamenti sulle auto. A dirlo è Giuseppe Sabella, direttore esecutivo del think tank Oikonova, in un’intervista a La Stampa. La vendita di parte dell’Alta Società è la partita principale dei prossimi mesi per Ferrovie dello Stato e potrebbe garantire un secondo mandato al ceo Stefano Donnarumma. L’obiettivo è mettere al sicuro gli investimenti, ridurre il contributo dello Stato al gruppo e liberare risorse per i treni regionali. La rassegna Energia.
ENERGIA, ENI PUNTA AL FAR EAST PER CHIMICA E BIORAFFINAZIONE
“Il lancio del piano di trasformazione della chimica con la ristrutturazione, unica attività in perdita (da anni, come ha sottolineato il ceo Claudio Descalzi). La valorizzazione delle società legate alla transizione, con il dossier aperto della cessione di quote di minoranza di Enilive (dopo aver scorporato e valorizzato Plenitude) e quello che si aprirà per gli asset italiani e britannici della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (Ccs). E gli investimenti nella bioraffinazione, con la riconversione di Livorno, dopo aver già riconvertito Gela e Venezia. Le sfide del 2025 per il gruppo Eni corrono lungo tutta la filiera, dal downstream fino all’upstream con l’attività cosiddetta «E&P» (exploration and production) che resta sempre la prima voce di ricavi e profitti del gruppo (…) il Cane a sei zampe guarda sempre di più a Est, al Far East. (…) è in Indonesia che Eni ha una massiccia attività di esplorazione, sviluppo e produzione, con il Gnl poi destinato ad avere in Asia il suo mercato di sbocco, Giappone in testa. Ed è sempre in Asia, in Malesia e Corea del Sud, che è prevista la costruzione di due bioraffinerie. Sul fronte dei nuovi business, è atteso in dirittura d’arrivo a inizio anno l’accordo per cedere il 25% di Enilive a Kkr, con una possibile altra cessione del 5% a un fondo, mentre per la Ccs si è già detta interessata a entrare nella newco Snam, che è partner del progetto a Ravenna”, si legge su L’Economia de Il Corriere della Sera.
“Per il futuro della bioraffinazione gli occhi sono puntati su Bruxelles, che dovrebbe valutare nel 2026 una possibile apertura ai biofuels in alternativa alla benzina in vista dello stop anche i biocarburanti. Ma è Versalis il dossier che entra nel vivo nel 2025. Il piano (…) ha un impatto industriale diretto sui tre impianti nel Sud Italia, Ragusa, Priolo (Siracusa) e Brindisi. (…) porterà Versalis ad avere l’Ebit positivo nel 2026 con un miglioramento per il gruppo di oltre 600 milioni”, continua il giornale.
ENERGIA, IL PIANO DI ENEL PER IDROELETTRICO E NUCLEARE
Enel si troverà ad affrontare due grandi sfide nel 2025: le concessioni idroelettriche e il nucleare. La Legge di Bilancio prevede l’estensione delle concessioni fino a 20 anni, ma c’è da superare lo scoglio della Commissione Ue. Enel in base al piano strategico prevede di investire oltre 16 miliardi per l’Italia. Altre fronte caldo è quello del nucleare. Infatti, a breve sarà firmato il term-sheet della newco che studierà le tecnologie di nuova generazione a maggioranza Enel (51%), con la partecipazione di Ansaldo (39%) e Leonardo (10%).
“Terminato il capitolo delle grandi cessioni per ridurre il debito, Enel ha due altre grandi caselle da sistemare: le concessioni, in scadenza nei prossimi anni, di due asset che valgono un bel po’ della marginalità dei conti, per le reti di distribuzione elettrica e per le centrali idro, di cui l’ex monopolista è ampiamente primo concessionario nel nostro Paese. La prima casella è in dirittura d’arrivo: un emendamento della legge di Bilancio 2025 prevede l’estensione della durata delle concessioni (fino a 20 anni) in base a piani di investimento che i concessionari presenteranno. Enel in base all’’ultimo piano strategico prevede di investire oltre 16 miliardi per l’Italia. (…) concessioni idroelettriche, con l’Italia unico Paese Ue che le deve mettere a gara europea perché a questa condizione era legato il pagamento di una rata del Pnrr. Da persuadere qui non c’è il Parlamento italiano, bensì la Commissione europea. Ora Roma — e le speranze sono riposte nel vice-presidente Raffaele Fitto — deve negoziare con Bruxelles la possibilità di assegnare in via prioritaria le concessioni in scadenza agli operatori uscenti (oltre a Enel anche Edison, A2a e Iren per citare i principali)”, si legge su L’Economia de Il Corriere della Sera.
“Il 12 novembre a Milano il ceo ha annunciato una newco dove consolidare questo asset, molto appetibile per chi si deve allacciare in fretta alla rete, per esempio i data center che vogliono piazzarsi in Italia e che sono altamente energivori. (…) Enel sta ponendo le basi per dare un calcio d’inizio al ritorno del nucleare. A breve sarà firmato il term-sheet della newco che studierà le tecnologie di nuova generazione di cui Enel avrà la maggioranza (51%), con la partecipazione di Ansaldo (39%) e Leonardo (10%)”, continua il giornale.
AUTO, SABELLA: “UE CAMBIERA’ MULTE E REGOLE”
“L’Europa non fa innovazione sull’auto da vent’anni. La crisi non deriva solo dal mercato dell’elettrico, che non decolla, ma è proprio una crisi d’identità del nostro settore automotive». Giuseppe Sabella è direttore esecutivo di Oikonova, think tank specializzato in lavoro e sviluppo sostenibile nato dall’esperienza del laboratorio milanese di Marco Biagi. Analizza le scelte dell’Ue e le sfide che il comparto dovrà affrontare. (…) «Da tempo prevedo che il primo dossier che Ursula von der Leyen dovrà affrontare sia quello dell’auto. È un problema molto serio per l’industria del Vecchio Continente (…) «Intanto, i costruttori hanno compreso che il motore elettrico non sarà l’unica tecnologia della mobilità del futuro. E poi, l’attuale quadro normativo favorisce i produttori cinesi, inevitabilmente più avanti dato che il motore elettrico è una loro invenzione. Ma quando è stato pensato il Green Deal, prima della pandemia, vivevamo una fase di buona integrazione tecnologica e commerciale con la Cina”, si legge su La Stampa.
«Non credo che l’Europa resti così rigida sulle sanzioni. Serve un ripensamento totale, altrimenti ci facciamo del male da soli. Cambiare le norme non è facile, servono i giusti tempi ed è indispensabile mettere in conto qualche impedimento. Ma può succedere di tutto. Sono convinto che si arriverà al punto e si affronterà la crisi, che di queste dimensioni non è mai stata vissuta prima». (…) «No, è errato pensare che sia una crisi legata alla transizione elettrica. L’industria dell’auto europea è profondamente cambiata: 20 anni fa si producevano 25 milioni di veicoli, oggi siamo passati a 15 milioni. Già dal 2012, dopo Lehman Brothers, sono iniziate le difficoltà. (…) il motore elettrico è una distrazione figlia di valutazioni sbagliate. Ma di tutti, anche dei costruttori. De Meo, come Marchionne, ha da subito compreso che l’elettrico è stato sopravvalutato. E alla fine Renault è il produttore che sta meglio»”, continua il giornale.
“«Da anni vediamo che le nostre istituzioni non sono sufficientemente abili a gestire le situazioni di crisi e a supportare le aziende per spingere gli investimenti a lungo termine. Tuttavia, nel tavolo al Mimit dei giorni scorsi sono emerse buone intenzioni. (…) in Italia ci sono sempre grandi discussioni che alla fine non producono risultati concreti». (…) «Stellantis ha messo sul tavolo delle buone possibilità, partendo dai due miliardi di investimenti per il 2025. Non sono pochi, ricordo che Marchionne per il piano Fabbrica Italia aveva iniziato con 900 milioni. Un punto positivo è l’intenzione di rivitalizzare il polo del lusso: Maserati è un marchio importante, eppure oggi si producono meno di mille vetture l’anno. Un altro elemento interessante è la piattaforma Stla Small che permette di fare volumi importanti per il mercato di massa. (…) L’ad di Volkswagen, Oliver Blume, ha detto che l’azienda ha tre anni di tempo per invertire il trend altrimenti si chiude. Vediamo cosa succederà, già averlo capito è importante»”, continua il quotidiano.
FS, IL RUOLO DEI SOCI ESTERNI
“Non è una privatizzazione, ripetono in Piazza della Croce Rossa, ma un’apertura del capitale. Di certo è la novità di Ferrovie dello Stato per il 2025 e, se l’operazione verrà conclusa nei 18-24 mesi previsti, potrebbe essere la base di un eventuale secondo mandato per il ceo Stefano Donnarumma. Il 12 dicembre, alla presentazione del Piano strategico 2025-2029, il manager ha annunciato che verrà costituita una nuova società, sotto la controllata Rfi, contenente l’infrastruttura dell’Alta velocità ferroviaria: i binari quindi e la loro gestione, non la parte passeggeri. In questa newco, valutata 8 miliardi da fonti di Fs, potranno poi entrare soci di minoranza istituzionali: il ceo ha citato Cdp (controllata dal Mef) e F2i. Cassa depositi è stata neutra («Un conto è finanziare, altro è entrare nell’equity, ma non escludiamo possibilità future», ha detto il 19 dicembre il ceo Dario Scannapieco), mentre il fondo infrastrutturale con 8,3 miliardi di attività ha risposto subito alla chiamata. «Così come ha fatto con la ex rete fissa di Tim — ha detto il ceo Renato Ravanelli — F2i è (sempre) pronta a raccogliere risorse finanziarie da dedicare allo sviluppo di reti strutturali del Paese».(…) potrebbe apportare così a Fs circa 1,5 miliardi, si stima: la taglia media dei suoi fondi. (…) Perché Fs vuole vendere parte della rete Alta velocità? Tre i motivi dichiarati. Uno, mettere al sicuro gli investimenti, con i capitali esterni, mentre si stringono i tempi per spendere i fondi del Pnrr”, si legge su Il Corriere della Sera Economia.
“Entro giugno 2026 vanno investiti tutti i circa 25 miliardi affidati a Fs, finora ne sono stati usati circa 11: ad esempio per l’Alta velocità Napoli-Bari i cui primi due lotti dovrebbe essere aperti proprio nel 2025. Due, ridurre il contributo dello Stato al gruppo. Tre, liberare risorse per i treni regionali. Certo il Piano strategico al 2029, al quale l’operazione si affianca, è ambizioso: investimenti per 100 miliardi, utile netto quintuplicato a 500 milioni, ricavi aumentati del 35% a oltre 20 miliardi. Ai valori indicati, se venisse ceduto il 20-30% della newco, Fs potrebbe incassare 1,6-2,4 miliardi”, continua il giornale.
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