“Ei fé silenzio e arbitro / si assise in mezzo a lor”. Davide Giacalone, direttore editoriale della Ragione, è uno di quegli intellettuali ex cathedra che danno lezione sia al governo che all’opposizione. Essi vorrebbero infatti una destra senza Salvini, Vannacci e i sovranisti; e una sinistra senza Schlein, Landini, M5S e Avs. Riconoscono le “pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati” e quelle “decisive” che “ricadono sulla politica”.
2+2 = 4 (talora 5)
Leggendo, nel suo editoriale “Verdetto” del 21 dicembre, il suo commento alla sentenza di Palermo sulla vicenda migranti, sembra di capire che l’ha condivisa, ma ci è restato male: come il nevrotico che, nella nota battuta americana, a differenza del pazzo, che pensa che due più due faccia cinque, sa bene che due più due fa quattro. Ma gli dà fastidio.
Giacalone si è guardato dal dire che il presunto reato di Matteo Salvini andava attribuito (semmai) all’intero Governo Conte, ma ha infierito maramaldescamente sul mondo dell’informazione, sempre “pronto a rilanciare il latrato giustizia”. La macchina giudiziaria, “nella più totale strafottenza, tritura diritti collettivi ogni giorno e tante vite innocenti, o comunque immeritevoli di quel trattamento”, ma i magistrati non se la prendano.
L’art. 10…
All’organo giudiziario, infatti, Davide Giacalone riserva un diritto enorme che, a ben riflettere, si traduce in un’autentica usurpazione del potere di governo. Si tratta, in sostanza, di applicare l’art. 10 della Costituzione: ”La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
E’ un diritto su cui a nessun governo è lecito intervenire. Alla classe politica, Giacalone indirizza un severo monito. ”Abbiano, però, cura di leggere con attenzione l’art. 10 della Costituzione, che rimanda a un contesto in cui la libertà era una conquista non solo da difendere, ma da offrire: basta che a uno straniero sia negata la libertà e la democrazia per dargli titolo al nostro asilo. Un veloce corso sulla gerarchia delle fonti renderà chiaro che a quel testo il giudice deve fare riferimento. Deve”.
… Ma anche l’art. 3
In sostanza, un giudice deve imporre il rispetto dell’art.10 come, immagino, è tenuto a richiamare l’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; e quindi è tenuto a citare in giudizio i governanti che non hanno rimosso “gli ostacoli di ordine economico e sociale”, che consentono ai beati possidentes di vivere negli attici dei Parioli e ai miserables di languire nei tuguri delle periferie..
Liberalismo buonista
Giacalone è un case study da non prendere sottogamba, in quanto è espressione di quella brodaglia insipida e indigesta che è diventata, nel nostro tempo, il liberalismo buonista, universalista, globalista, mercatista che sempre più rappresenta il common sense di una cultura politica che ha dimenticato le visioni forti, a cominciare dal realismo marxista. E’ una vittima della “demonizzazione che si continua a fare dell’appartenenza a una comunità politica, riguardata come privilegio, esclusione, discriminazione”. Per lui, il liberalismo è l’organizzazione istituzionale dei “diritti individuali”, sui quali deve pronunciarsi il giudice, non l’uomo di governo. In questa prospettiva, lo Stato, ridotto a vigile del traffico sociale, deve punire i trasgressori e consegnarli al magistrato.
Giudici, anzi consoli
Consules provideant ne respublica detrimentum capiat (“I consoli provvedano affinché lo Stato non subisca dann”)? No, per Giacalone sono i giudici (iudices) a dover providere. Se un governo (a ragione o a torto, saranno poi gli elettori a stabilirlo) decidesse che un numero troppo alto di profughi o di immigrati potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la stabilità di un paese, non essendoci risorse sufficienti per garantire una vita decente agli ospiti, andrebbe incontro alla delegittimazione, mettendosi sotto i piedi i diritti e, il va sans dire, la famosa “gerarchia delle fonti”.Se gli intellettuali ‘mediatori’ sono questi, si tratta di una genia la cui perdita non impoverirebbe certo la political culture nazionale. L’aureo adagio latino in medio stat virtus grazie a loro, infatti, è diventato sinonimo di cerchiobottismo.
Visualizzazioni: 0
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link