Combatto per i miei figli, tutti i nostri figli, per lo stato ebraico e per il popolo ebraico – Israele.net

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Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla nostra lunga storia è che quando qualcuno dice di voler uccidere gli ebrei, bisogna credergli. Per secoli siamo stati alla mercé delle altre nazioni: quel tempo è finito

Di Tuvia Book

Tuvia Book, autore di questo articolo

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Spesso mi chiedono perché presto ancora servizio nei miluim (riservisti delle Forze di Difesa israeliane), quattordici mesi dopo il massacro del 7 ottobre.

Rispondo che io, insieme a tutte le altre migliaia di uomini e donne delle Forze di Difesa israeliane, sto combattendo per i miei figli, per tutti i nostri figli, per il popolo ebraico, lo stato ebraico e per il nostro futuro collettivo ebraico.

Credo sinceramente che il futuro del popolo ebraico si giocherà in Israele, e desidero sul serio essere parte di questi tempi storici.

Ci sono stati così tanti sacrifici in questa guerra. Famiglie innocenti, vecchi e giovani, ragazzi che ballavano e soldati in servizio che hanno pagato e continuano a pagare il prezzo più alto per la nostra libertà.

Poi c’è il sacrificio dei vivi, dei coraggiosi soldati e delle vittime del terrorismo, fisicamente ed emotivamente colpiti e che hanno bisogno di un lungo periodo di riabilitazione e guarigione.

Ci sono le decine di migliaia di civili sfollati, che sono dovuti fuggire da un momento all’altro abbandonando case, scuole, lavoro, comunità e amici per trasferirsi altrove con pochi beni, per un periodo di tempo che non è dato conoscere, senza date chiare per il futuro ritorno.

Gli innumerevoli coniugi e figli che non vedono i loro cari per centinaia di giorni e che devono andare avanti senza di loro, sempre sperando nel meglio, ma temendo il peggio.

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L’autore di questo articolo (a sinistra) al confine di Gaza, in compagnia di soldatesse dell’unità di soccorso medico in combattimento, nella quale presta servizio come riservista

La guerra sta anche imponendo un enorme tributo finanziario all’economia, con un costo stimato di un miliardo di shekel (più di 250 milioni di euro) al giorno.

Questa è senza ombra di dubbio una “guerra senza possibilità di scelta” che è stata imposta a Israele, una guerra per la sopravvivenza stessa di questo nostro unico stato ebraico, libero e indipendente.

Durante l’addestramento di base della mia unità di combattimento ci veniva ripetuto più e più volte, quasi come un mantra, che quando arriva il “momento della verità” dobbiamo essere noi quel “qualcuno” che si fa avanti. Se tutti dicessero “che lo faccia qualcun altro”, non se ne farebbe nulla e di certo non avremmo un nostro paese.

Questa assunzione di responsabilità è alla base dell’ebraismo. Il primo comandamento che i primi ebrei, Abramo e Sara, ricevettero fu “Lech Lecha” (prendi e vai), un appello ad agire in prima persona.

Traggo ispirazione da generazioni di sionisti le cui scelte altruistiche sono entrate nella leggenda e sono parte integrante della mia formazione nel movimento giovanile sionista.  Una di loro, Hannah Szenesh (1923-1944), che sacrificò la sua vita nel vano tentativo di salvare gli ebrei nell’Ungheria occupata dai nazisti, scrisse le famose parole:

Una voce chiamò e io andai / Andai, perché una voce mi chiamava

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Tutti i soldati in servizio nelle Forze di Difesa israeliane, uomini e donne, religiosi e laici, di destra e di sinistra, ebrei e non ebrei, hanno messo da parte tutte le loro differenze e hanno risposto alla chiamata di andare a difendere il nostro focolare e la nostra casa.

Le forze oscure del male non hanno fatto mistero della loro intenzione finale: cancellare dalla carta geografica lo stato ebraico e tutti i suoi abitanti.

Sono profondamente grato di vivere in un periodo in cui noi ebrei possiamo difendere noi stessi, la nostra dignità, la nostra patria e i nostri figli.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla nostra lunga storia è che quando qualcuno dice di voler uccidere gli ebrei, bisogna credergli.

Per tanti secoli siamo stati indifesi, alla mercé delle nazioni che ci ospitavano. Quel tempo è finito.

Non siamo più i braccati, abbiamo la capacità e la possibilità di fare una cosa che abbiamo sempre sognato: “Essere un popolo libero nella nostra terra” (come recita la HaTikvah, l’inno nazionale israeliano).

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Con le nostre mani, possiamo plasmare il corso delle generazioni future nella nostra terra. È per questo che ci stiamo battendo. Stiamo combattendo per i nostri figli.

(Da: Times of Israel, 16.12.24)

L’unità di soccorso medico in combattimento in cui presta servizio come riservista l’autore di questo articolo, mentre porta in salvo un soldato ferito nella striscia di Gaza



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