«Sanremo è sacro, i giovani non lo sanno. Fedez stava male? Non so che gli succeda. Ritiro? Io voglio morire sul palco»

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Negli ultimi due anni ha fatto in tutto 160 spettacoli, portando avanti contemporaneamente due tournée diverse, Tutti i sogni ancora in volo (che ha debuttato nel 2014 e in dieci anni ha superato quota 800 repliche) e Sogno e son desto. Com’è possibile? Lo è, se l’artista in questione si chiama Massimo Ranieri. Nato settantatré anni fa all’ombra del Vesuvio, nel cuore del rione Santa Lucia di Napoli, della sua terra l’artista ha ripreso la vulcanicità: «Le flessioni sul palco? Le faccio ancora, ma meno che in passato. Gli anni passano anche per me», sorride, mentre si prepara a chiudere il 2024 con un concerto che il 31 dicembre lo vedrà esibirsi alla Nuvola di Roma. Dall’11 al 15 febbraio sarà poi in gara al Festival di Sanremo, dove canterà Tra le mani un cuore, firmata da Tiziano Ferro, Nek, Giulia Ananìa e Marta Venturini. 

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Di cosa parla la canzone? 
«È un inno all’amore. Parla di una storia intensa tra due persone, che finisce. Una riesce a farsene una ragione e ad andare avanti. L’altra no, ma è proprio dalla prima che riceve la forza per andare avanti, conservando in un angolo del cuore quell’amore che c’è stato: è lì, non se ne va, ma è parte del passato». 
 

Sarà la sua ottava partecipazione alla kermesse. Sa che ha superato il suo amico Gianni Morandi, fermo a quota sette?
«Ahahah. Chissà se gli fa piacere (ride). Ma sono sicuro che anche Gianni ci tornerà, prima o poi. Quello è un palco sacro. I giovani non se ne rendono conto. Non sanno che lì sopra sono passati Domenico Modugno, Tony Renis, Claudio Villa. Ricordo ancora quando nel 1968 dietro le quinte incontrai il grande Modugno. Avevo da poco compiuto 17 anni e quella era la mia prima partecipazione. Per me Mimmo era un gigante. Rimasi a bocca aperta. Mi disse: “Che fai lì?”. E io: “Scusi, maestro. È che l’ho vista sempre in televisione”».
 

La scorsa settimana a Sarà Sanremo, anticipazione del Festival, i ruoli si sono invertiti con qualche giovane di oggi?
«Non ho incontrato nessuno. Comunque i protagonisti di oggi sono molto diversi rispetto a come eravamo noi all’epoca. Sono più sicuri. Noi eravamo timidi, timorosi. La tv ci sembrava una cosa enorme. Loro, invece, sono padroni dei propri mezzi, spavaldi». 

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Troppo spavaldi?
«Secondo me sì. E non so fino a che punto questa spavalderia gli farà bene. Non provano le emozioni che provavamo noi, che eravamo ingenui. Oppure non lo danno a vedere». 
 

Si tengono tutto dentro e poi a furia di accumulare non reggono, come è successo a Sangiovanni?
«Forse. Mi è dispiaciuto molto per quel ragazzo. All’epoca noi non avevamo le pressioni che ci sono oggi. Così è facile uscire di testa». 
 

Fedez non stava benissimo, ha visto?
«Non lì. L’ho rivisto in tv. Mi è sembrato un po’ tirato. Non so che gli succeda». 
 

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Lei un crollo lo ha mai avuto?
«Impossibile non averne in oltre cinquant’anni di carriera. La tranvata più dura fu quando il grande Giorgio Strehler non mi prese per il suo Re Lear, nel 1972. Un aiuto regista mi fece un brutto scherzetto: “Massimo, il maestro sta per mettere in scena il Re Lear di Shakespeare e ha pensato a te per il protagonista”. Mi presentai: “Maestro, ma è vero?”. E lui: “Chi te l’ha detta questa scemenza?”. Poi fu proprio lui a richiamarmi nel 1980, quando portò in scena L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht».
 

È vero che sta pensando al ritiro?
«Macché. Non so chi abbia messo in giro quelle cavolate. Io voglio morire sul palco». 
 

Come Vasco?
«Come Molière».
 

Un palco in particolare o un palco qualunque?
«Uno qualunque. Può essere il San Carlo di Napoli come un teatrino di periferia da cento posti. Basta che siano tavole di palcoscenico».
 

Il primo Capodanno di cui ha un ricordo?
«Quelli della mia infanzia a Napoli. Vivevamo all’ultimo piano di un palazzo fatiscente, sgarrupato, come diciamo noi napoletani: eravamo io, mio padre e mia padre. Facevamo pochi botti, perché avevamo pochi soldi. Sentivamo il fumo salire fin su e capivamo che era Capodanno. Eravamo felici così». 
 

Che anno sarà il 2025 per Massimo Ranieri?
«Agli spettatori della Nuvola augurerò serenità. Ne abbiamo tutti bisogno, oggi: in giro c’è troppa violenza». 
 

Due anni fa aveva detto: “A 71 anni voglio un figlio l’età non mi spaventa”. È un desiderio che avverte ancora o no? 
«Sì. Finché ho l’età per farlo, ci proverò». 

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