Chi era veramente Vincent Van Gogh?

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È tra i più grandi artisti di tutti i tempi, sicuramente il più grande tra i pittori dell’Arte Moderna: oggi le sue opere raggiungono alle aste cifre incredibili. Durante la vita ha venduto una sola opera per 400 franchi belgi, l’equivalente degli attuali 850 euro. Era epilettico, bipolare, si è mozzato un orecchio in un momento di rabbia ed è morto suicida a soli 37 anni. Ha vissuto molto tempo nutrendosi di pane raffermo e poco altro, facendo letteralmente la fame.

Ma quando dipinge non sente né fame, né freddo, né dolori, né depressione: anche se nessuno apprezza le sue opere è convinto che passeranno alla storia. Nessuno dipinge come lui, quasi autodidatta, che ha attinto un po’ da tutti gli artisti che ha studiato con accanimento, per poi prenderne le distanze. Utilizza il colore con uno spessore tale di materia che ora è quasi impossibile restaurare le sue pregiatissime opere.

Perché è diventato così famoso? Come ha potuto diventarlo? Chi era veramente Vincent Van Gogh?

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È facile ricostruire la sua vita, perché ci ha lasciato quasi mille lettere, buona parte scritte al fratello Theo, le altre ai familiari e ai pochi amici artisti, che la moglie del fratello Theo, Johanna Bonger, morto sei mesi dopo di lui, ha avuto cura di raccogliere e conservare per poi pubblicarle.

Nato a Zundert, nei Paesi Bassi, era figlio di un pastore calvinista, padre di sei figli, che viveva con la moglie e la prole trasferendosi periodicamente da una parrocchia all’altra, che gli venivano man mano assegnate. Vincent frequenta la scuola primaria nel suo villaggio e dopo viene messo in un collegio protestante, prima a Zevenbergen, quindi a Tilburg. Quando compie 16 anni il padre decide di avviarlo al lavoro, facendolo assumere nella filiale della casa d’aste internazionale Goupil. È solo un apprendista, ma deve occuparsi di stampe d’arte, per cui viene a contatto con le riproduzioni delle opere dei più grandi artisti suoi contemporanei e del passato.

Nel 1873 viene trasferito nella filiale di Londra, dove conosce e si innamora, non ricambiato, di Eugenie, giovane figlia della padrona di casa dove alloggia. Eugenie è già fidanzata e rifiuta la proposta di Vincent, che cade in una profonda depressione e decide di tornare dai genitori in Olanda. I familiari pensano di trasferirlo nella filiale di Parigi della Goupil nel 1875, ma Vincent stabilisce di cambiare lavoro e accetta di essere assunto come insegnante di francese, che lui conosce bene, in un piccolo collegio inglese, in cambio del solo vitto e alloggio. Dopo tre mesi l’incarico non gli viene riconfermato.

Tornato a casa il padre lo fa assumere come commesso in una libreria di Dordrecht, ma ormai Vincent si è convinto di diventare pastore e predicatore, per cui si reca ad Amsterdam, dove si prepara agli esami di ammissione in teologia. Purtroppo nel 1878 non viene ammesso ai corsi, inizia allora il noviziato di predicatore a Bruxelles, nella scuola di Laeken, ma non ottiene la nomina. Si trasferisce allora nel Borinage, in Belgio, dove vive tra i minatori come pastore laico, con un piccolo provento. Conosce i minatori e la loro vita di stenti, se ne immedesima a tal punto da distribuire loro ogni suo avere, privandosi di tutto, anche del cibo. Vedendolo ammalarsi seriamente, i genitori chiedono al fratello Theo di indirizzarlo verso la pittura, per distoglierlo dall’insano proposito di condividere la vita degli umili.

Vincent, che ha sempre provato interesse per il disegno, accetta e si iscrive a corsi di anatomia e prospettiva, prima nei Paesi Bassi, poi si trasferisce a Bruxelles, immatricolandosi all’Accademia di Belle Arti. È il 1880, ha ormai 27 anni. Nel 1881, abbandonata l’Accademia, torna dai genitori e si innamora di Kate, una cugina vedova con un figlio di 4 anni: viene nuovamente rifiutato, con il biasimo di tutta la famiglia, per la corte ossessiva alla giovane. Ne consegue una nuova forte depressione. In seguito si trasferisce all’Aia, dove ha modo di conoscere il pittore Mauve, che gli impartisce lezioni di pittura ad olio.

Nel 1882 va a vivere con Clasina Hoornik, detta Sien, una prostituta di strada, incinta, con una figlia e la madre a carico. Di Sien Vincent ci ha lasciato un meraviglioso disegno in cui, accasciata per terra, la donna esprime tutta la sua disperazione. Vincent vuole a tutti i costi sposarla, per dare un tetto a queste derelitte, ma la famiglia lo contrasta a tal punto da decidere di interdirlo. In seguito lui si ammala di gonorrea, contagiato da Sien, che alla fine preferisce tornare alla sua vita precaria piuttosto di convivere con l’artista, che sopravvive del solo aiuto del fratello Theo, sempre pronto ad aiutarlo, anche se con limitati mezzi.

Vincent comincia a disegnare e dipingere i contadini, ambientando le opere nei Paesi Bassi e ispirandosi alle opere di Millet. Torna a vivere con i genitori, ha una relazione con Margot, la quale tenta il suicidio. Viene poi accusato dal parroco della chiesa cattolica di aver ingravidato una sua parrocchiana, sua modella: il parroco ordina a tutta la cittadinanza di non posare più per lui. Questi fatti sono la causa di un alterco col padre, è una lite furibonda che provoca al padre un infarto e la morte.

Nel 1885 dipinge “I mangiatori di patate”, che lui considera uno dei suoi capolavori, al riguardo scrive alla sorella “è ciò che ho fatto di meglio”. Nell’opera dipinge una stanza misera, spoglia, angusta, dove cinque persone siedono a tavola. Hanno età diverse e rappresentano una povera famiglia contadina al pasto serale. Sopra di loro campeggia la luce instabile di una lampada che illumina fiocamente volti stanchi, mani nodose, un pasto a base di patate. È il manifesto del suo credo artistico e sociale, un quadro di storia di grande impatto emotivo: tuttavia non viene capito né dai critici, né dal pubblico.

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Deluso, decide di trasferirsi ad Auvers sur Oise, nel nord della Francia, dove viene a contatto con una comunità di pittori francesi. Frequenta nuovamente una Scuola di Belle Arti, che però presto abbandona perché non ne condivide i metodi di insegnamento. Si trasferisce quindi a Parigi presso il fratello Theo, che è un gallerista che lavora per Goupil. A Parigi Vincent ha modo di conoscere Monet e gli altri Impressionisti, diventa allievo del pittore Cormon e fa amicizia con Gauguin, Bernard, Pizzarro e Toulouse-Lautrec.

La convivenza col fratello, in due stanzette che lui ha adibito ad atelier, non è facile, nonostante l’affetto che lega i due fratelli, per cui nel febbraio del 1888 parte per la Provenza e si ferma ad Arles, in cerca della luce e dei colori chiari del Sud. Aiutato economicamente dal fratello, prende in affitto una casetta, con l’intenzione di creare una comunità di artisti, come aveva visto realizzare a Pont Aven in Bretagna, dove vi era un’ importante comunità di pittori, attratti dalla bellezza dei luoghi.

Theo cerca di convincere Paul Gauguin a raggiungere Vincent, promettendogli vitto e alloggio gratis, in cambio di un’opera pittorica al mese: Vincent ne è entusiasta, scrive molte lettere a Gauguin affinché lo raggiunga ad Arles, gli spedisce più dipinti, tra cui la famosa camera da letto, per invogliarlo a partire, facendogli vedere i luoghi e il comfort della sua casa. Gauguin, sprovvisto come al solito di sostanze, dopo molte indecisioni, parte nell’intento di raggranellare un minimo per imbarcarsi nuovamente per la Polinesia.

I primi tempi il rapporto tra i due artisti è vantaggioso, c’è un contributo reciproco, anche nell’utilizzo del colore e della tecnica. Van Gogh ammira Gauguin, che ritiene superiore a lui, sa che è considerato tra gli artisti il maestro del “cloisonnisme” e che è molto apprezzato nel loro ambiente. Ma Vincent è periodicamente vittima di accessi epilettici, che lo sprofondano nelle allucinazioni e nell’aggressività.

I due, che frequentano locande e postriboli, dopo due mesi di convivenza, hanno un alterco dopo aver bevuto: Vincent, in un accesso d’ira, lancia un bicchiere colmo di assenzio a Paul, che per miracolo riesce a scansarlo. Paul, quella notte si trasferisce in albergo, quando torna a casa di Vincent gli comunica che partirà per Parigi. Poi si allontana, ma sente i passi di Vincent che lo sta seguendo con un rasoio in mano, contrariato dal fatto che Paul voglia andarsene. Paul è coraggioso, si ferma e lo affronta, per cui Vincent desiste e si allontana. Tornato a casa, in un accesso di rabbia, si recide una parte dell’orecchio, che poi consegna al custode del bordello che i due frequentano. Le prostitute ne sono sbalordite e terrorizzate, per cui chiamano i gendarmi.

Spaventata, una delegazione della popolazione si reca presso la casa di Van Gogh, che nel frattempo si è addormentato, dopo essersi tamponato alla bell’e meglio la ferita sanguinante. Quando le persone entrano in casa trovano sangue dappertutto: Vincent viene internato nell’ospedale comunale. Paul se ne torna a Parigi velocemente, mentre Vincent alterna periodi in cui viene ricoverato ad altri, in cui torna alla sua casa, ma alla fine vi è una petizione da parte della popolazione di Arles, che è spaventata dai comportamenti dell’artista, dalla sua aggressività e dai suoi sguardi allucinati. Si trova infine la soluzione, dopo un accordo col fratello Theo, di internarlo a San Remy, non lontano, un ospedale per malati mentali, che ricevono l’unica cura di due bagni settimanali.

Vincent può dipingere, ma poi, quando tenta il suicidio ingerendo colori e trementina, viene tenuto rinchiuso. Dopo un anno in parte si è ripreso e chiede al fratello Theo di poter andare ad Auvers, dove può essere curato dal dottor Gachet, un medico omeopata che cura la malattia con metodi personali, ama e conosce il mondo dell’arte e permette a Vincent, alloggiato in una locanda, di dipingere. Ne segue un periodo di grande fervore artistico, Vincent vi dipinge i suoi capolavori.

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Tuttavia, dopo una visita a Parigi dal fratello Theo, ha una nuova crisi depressiva, perché trova il fratello, che nel frattempo si è sposato, oberato dai debiti, la cognata e il nipotino di tre mesi, che si chiama Vincent come lui, gravemente ammalati. Tornato ad Auvers precipita ulteriormente nella depressione e, mentre si trova nei campi a dipingere, si spara in petto un colpo con la rivoltella, che portava con sé per allontanare i corvi dalle tele. Ferito, in qualche modo riesce a tornare alla locanda dove, insanguinato, si mette a letto, curato dal dottor Gachet. Il giorno dopo arriva il fratello, che ha così modo di assistere alla sua agonia: Vincent morirà il giorno successivo. Sei mesi dopo, anche Theo, in preda a crisi depressive morirà a Utrech. La moglie ha avuto cura di far tumulare i due fratelli accanto.

Descrivere la vita di un artista potrebbe sembrare banale, ma nel caso di Van Gogh è rilevante per capire la sua personalità così particolare e disturbata. È chiaro che Vincent aveva problemi psichiatrici ereditari, lo dimostra il fratello Theo, morto a 34 anni per le stesse problematiche. A questi vanno aggiunti i problemi educativi originati dall’educazione ricevuta in famiglia: il padre, pastore protestante, era legato alle sue convinzioni in modo viscerale, autoritario e limitato dal punto di vista intellettivo. La madre, dal canto suo, era ancora più limitata e Vincent lo ribadisce in una lettera a Theo.

Vincent era dotato di una intelligenza vivissima, era anticonformista, in grado di giudicare col suo brillante intelletto, quanto accadeva attorno a sé. Ma era dotato anche di una intelligenza emotiva particolarmente sensibile, anzi, ipersensibile ed aveva introiettato gli insegnamenti del padre, cercando di farli suoi per un rispetto dovuto alla figura paterna. Sicuramente i disturbi di comportamento si sono evidenziati presto, se il padre l’ha tolto dalla scuola per avviarlo al lavoro.

Vincent era naturalmente portato per il disegno, ma non pensava di diventare un artista, adattandosi alle indicazioni del padre, ma il suo temperamento passionale, quando si è innamorato ed è stato respinto, ha causato il tracollo psichico. Questa prima grande delusione l’ha indotto ad abbandonare il lavoro che il padre ha disposto per lui. Vacilla e comincia con varie esperienze fallimentari. Il voler rifugiarsi nello stesso lavoro del padre è un atteggiamento recessivo, quasi un rifugio in qualcosa di sicuro, in cui vuol credere.

E qua entra in campo la sua eccessiva sensibilità: si sente talmente vicino alle difficoltà dei lavoratori che si annulla e si ammala. Condivide a tal punto le difficoltà che considera, che vuole parteciparne donando tutto quello che possiede ai miserandi.
A questo punto interviene la famiglia, incoraggiandolo a entrare nel mondo dell’arte, conoscendo il suo interesse per questo mondo.

Poiché Theo opera in campo artistico ed è affezionato al fratello, gli si chiede di aiutarlo ad entrare a farne parte. Vincent si distoglie ben presto dalla dedizione ai diseredati, si allontana dal credo religioso, prende le distanze dal padre. Ma anche in questo campo, nonostante si impegni a esercitarsi nel disegno e nella pittura non registra alcun successo. Vincent è però affascinato dal mondo dell’arte, ne prova attrazione perché quando disegna o dipinge si sente meglio, trova uno sfogo alla sua ansia, che calma dipingendo.

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Pian piano trova che questa è la sua strada, comincia a credere nella bontà delle sue opere, lo crede al di là di ogni giudizio negativo che riceve. E Theo è sempre pronto a incoraggiarlo e a mantenerlo, avendo compreso che l’arte è l’antidoto alle depressioni e alle crisi nervose del fratello, che, dal punto di vista sentimentale, continua a registrare insuccessi su insuccessi, mentre vorrebbe una moglie e dei figli. Ma anche a questo si rassegna quando comprende che i suoi figli sono i suoi dipinti.

Va tenuto conto che Vincent, vivendo nell’indigenza e potendo solo contare sulla generosità del fratello, ha pochissimo anche per nutrirsi, per cui spesso non ha di che mangiare e vive di acqua e tozzi di pane raffermo. Inoltre, la tragica fine del padre, in seguito alla loro lite, è stato sicuramente un enorme macigno che si è portato per il resto della sua vita chiuso in petto, ma incancellabile: a tal punto che nelle quotidiane lettere al fratello non ne fa mai cenno, come per rimuovere un fatto troppo doloroso per lui.

Nelle sue opere Vincent ha uno stile personale dovuto al fatto che non è stato indirizzato da studi regolari che tendono a standardizzare le forme in accademismi e questo gli dà modo di creare opere originalissime, ma così all’avanguardia rispetto ai suoi tempi, impossibili da essere capiti dai suoi contemporanei. Man mano che si esercita, disegna e dipinge, Vincent sviluppa sempre più il suo stile inconfondibile e la profonda ineguagliabile poesia delle sue opere che rispecchiano l’amore per la natura, la comprensione dei simili negli autoritratti e la sua consapevolezza dei limiti della sua condizione materiale, morale e spirituale, nonché della sua profonda depressione, che lui sa combattere con un impulso a vivere e a creare, senza soccombere.

Il cortocircuito avviene in seguito alla delusione di non poter avere Gauguin presso di sé, per cui compie un atto inconsulto, comincia a non essere più accettato dai concittadini di Arles, fino a che viene rinchiuso in manicomio. Ha momenti di disperazione tale che tenta ripetutamente il suicidio. Ma si salva sempre, creando opere che sono la sua valvola di sfogo, la sua sicurezza, il suo modo di continuare a vivere. Nell’ultimo periodo trova la speranza di tempi migliori uscendo dal manicomio e andando a vivere ad Auvers, aiutato dalle cure del dottor Gachet. Ma poi litiga anche con lui, si convince che è “ più pazzo” di lui.

L’aver trovato a Parigi, il fratello, sua unica fonte di sopravvivenza economica, con la moglie e il figlioletto gravemente ammalati, l’ha costretto in uno stato di incertezza tale che l’ha spinto a togliersi la vita nella più cupa disperazione. E ciò è accaduto proprio quando si trovava en plein air a dipingere e aveva con sé una pistola che portava per scacciare i corvi che, numerosi, lo infastidivano: ed è accaduto proprio mentre dipingeva, l’unica gioia della sua vita, tribolata e infelice.

L’artista che ha ottenuto meno riconoscimenti in vita è quello che ne ha di più ora, anche dopo più di un secolo e mezzo! È conosciuto da tutti, apprezzato da tutti! Ha ispirato gli Espressionisti, i Fauves e le Avanguardie del ‘900, ha trascinato l’arte in luoghi che non le appartenevano, ha insegnato alle generazioni successive cos’è veramente l’arte. Passione, amore, dedizione e una grande, grandissima bravura!

Le opere che ci ha lasciato Vincent Van Gogh ci testimoniano la sua grandezza a partire dai “I mangiatori di patate” e continua con i suoi autoritratti, che ci raccontano, attraverso il dolore dei suoi occhi, tutta la sua sofferenza umana e la sua capacità di resilienza, così come i suoi girasoli, che più che fiori paiono confessioni psicoanalitiche. Infatti tutti i girasoli, che il pittore ha dipinto quando non aveva altri soggetti, li tratta in modo tale che acquistano personalità, si animano, si caricano di significato simbolico.

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Tra le sue opere, sono gli autoritratti che ci colpiscono di più, perché attraverso lo scorrere del tempo, vi si può leggere tutta la sua sofferenza: sono straordinarie penetrazioni psicologiche, uno più intenso dell’altro. Trasmettono l’immagine del suo rovello interiore e della sua angoscia permanente, che raggiunge l’acme nelle opere in cui si ritrae con l’orecchio mozzato e fasciato.

Il “Campo di grano con volo di corvi”, tra le ultime opere, è veramente il suo testamento artistico e spirituale, in cui campeggiano i colori giallo e blu. In esso si fa più che mai evidente il lato drammatico, perché l’atmosfera è piena di presagi e la pennellata franta e spigolosa ne rivela la tensione che lo porterà alla fine.

Ci ha lasciato anche opere come “La terrazza del caffè la sera” che ci incantano con la serenità notturna che descrivono. Nei suoi scorci serali ci sentiamo partecipi, ci fanno percepire tutta l’immensità dell’universo: le stelle illuminano la notte, riempiono il cielo e la nostra anima, in un momento di condivisione universale.
Ma è un piccolo quadro, dipinto come regalo per la nascita del nipote Vincent: un minuscolo ramo di mandorlo coi boccioli fioriti, che affascina di più, per la sua tenerezza e delicatezza. Perché Vincent era anche quello: un uomo gentile e sensibile!



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