A Fabriano non si fa più la carta per le fotocopie

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Alle 8 di mattina dell’11 dicembre la «macchina continua» F3 della cartiera di Fabriano, nelle Marche, è stata spenta definitivamente dopo cinquant’anni di attività ininterrotta. Chi era presente al momento dello spegnimento racconta che molti operai avevano le lacrime agli occhi, perché sapevano che l’impianto non sarebbe mai più ripartito, che stavano assistendo alla fine di una lunga storia e che il loro lavoro stava per concludersi. La cartiera chiuderà alla fine di dicembre e dal primo gennaio i 173 dipendenti della Giano, la società del gruppo Fedrigoni che la gestisce, andranno in cassa integrazione, mentre non sarà rinnovato il contratto a 20 lavoratori interinali (cioè non assunti direttamente dall’azienda, ma da una società intermediaria).

La Fedrigoni è una storica azienda cartaria veronese ed è quella che fa la carta col noto marchio “Fabriano”, dal nome del luogo in cui viene prodotta. Nel 2017 è stata acquistata dal fondo d’investimento americano Bain Capital, a cui nel 2022 si è affiancato l’inglese BC Partners. Ha 6mila dipendenti e 78 tra siti produttivi, centri di taglio e di distribuzione in 28 paesi di tutto il mondo. Nel 2002 ha comprato dall’Istituto Poligrafico dello Stato le Cartiere Miliani di Fabriano. Nella sede storica di Fabriano ci sono gli uffici amministrativi e la sede della Fondazione Fedrigoni, che gestisce un archivio storico con 3mila libri e organizza convegni e residenze artistiche, mentre nelle cinque cartiere si producono carte artistiche, scolastiche e per i passaporti. I dipendenti sono in tutto 840.

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La vecchia sede centrale delle Cartiere Miliani a Fabriano (Angelo Mastrandrea/il Post)

La «macchina continua» F3 produceva la carta per fotocopiatrici e stampanti Fabriano Copy 2, che è comunemente utilizzata negli uffici pubblici e negli studi professionali. È definita così perché comprende in un unico macchinario tutto il processo di produzione. La polpa di cellulosa viene mescolata all’acqua e trasformata in un composto che viene posato su un nastro metallico, pressato e poi steso ad asciugare con dei forti getti di vapore. Una volta asciutta, la carta viene arrotolata in bobine dal peso di una tonnellata circa. Le bobine venivano spedite nello stabilimento di Rocchetta, che si trova a pochi chilometri di distanza. Lì la carta veniva tagliata e trasformata in fogli A4, un formato in cui il foglio di base, detto A0, viene piegato quattro volte.

La «macchina continua» F3 non era mai stata fermata da quando era stata messa in funzione, nel 1976. Si preferiva tenerla sempre attiva perché riaccenderla avrebbe richiesto operazioni lunghe e complicate.

Alla fine di ottobre i 173 dipendenti fissi hanno ricevuto la comunicazione che dal 18 dicembre sarebbero stati licenziati. Nelle settimane seguenti ci sono state molte proteste e così il 10 dicembre, in un incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy con il governo, i sindacati e i rappresentanti della Regione Marche e del Comune di Fabriano, l’azienda ha annunciato il ritiro dei licenziamenti. Ha confermato però che lo stabilimento chiuderà il 31 dicembre e che gli operai andranno in cassa integrazione per un anno, per consentirgli di trovare un altro lavoro o di ricollocarsi nelle altre cartiere del gruppo.

La ex Cartiera Miliani a Fabriano, ora del gruppo Fedrigoni (Angelo Mastrandrea/Il Post)

L’amministratore delegato del gruppo Fedrigoni, Marco Nespolo, ha motivato la chiusura dicendo che «il mercato della carta da fotocopie è in declino inarrestabile» e che dal 2018 la produzione globale è calata del 42 per cento. Ha spiegato che a Fabriano rimarrà la produzione della carta da disegno e che l’azienda investirà sulle carte artistiche e soprattutto sul «business delle carte di sicurezza», cioè quelle con il filo d’argento in filigrana per i passaporti.

Secondo fonti sindacali che hanno partecipato agli incontri con le parti in causa, il gruppo sta anche valutando di far ripartire l’impianto che fino a qualche anno fa produceva per il Poligrafico dello Stato la carta per gli euro. L’ipotesi è di lavorare in conto terzi, stampando carta moneta da utilizzare per le banconote di tutto il mondo. La sottosegretaria del ministero delle Imprese con delega alle crisi d’impresa, Fausta Bergamotto, ha espresso «grande soddisfazione» per il blocco dei licenziamenti. Il giorno dopo l’azienda ha spento la «macchina continua», cominciando la dismissione della fabbrica.

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Il gruppo Fedrigoni fa sapere che una ventina di lavoratori sarà prepensionata su base volontaria. A 55 operai sarà proposto il trasferimento negli stabilimenti del gruppo in Friuli Venezia Giulia, Trentino e a Verona, con alcune agevolazioni come l’adeguamento temporaneo dello stipendio al costo della vita nel luogo in cui si trasferiscono, il pagamento del trasloco e dell’affitto per i primi due anni. Ad altri 105 sarà offerta la ricollocazione in una delle cartiere che il gruppo ha nella zona, dopo un corso di formazione pagato dalla Regione. L’azienda dice che l’obiettivo è non avere più esuberi entro un anno.

Il 18 dicembre nell’impianto di Rocchetta è stata prodotta l’ultima risma di Fabriano Copy 2 con la tipica copertina bianca e azzurra. I lavoratori hanno scritto con un pennarello nero la data di produzione e hanno messo le loro firme sulla confezione, chiedendo che sia conservata nel Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano insieme all’ultima bobina prodotta a Vetralla, in provincia di Viterbo, una settimana prima. «Finora riuscivamo a vivere bene, con un discreto stipendio, che arrotondavamo con molti straordinari e lavorando a turno il sabato e la domenica», dice Daniele Bonafoni, un lavoratore della cartiera. Dal primo gennaio riceverà per un anno un assegno di circa 1.400 euro al mese, seguirà un corso di formazione pagato dalla Regione e tra un anno dovrebbe essere ricollocato in una delle quattro cartiere che il gruppo Fedrigoni ha nella zona.

«Spegnere l’impianto poche ore dopo il via libera del governo è stato un gesto di sfida che si potevano risparmiare, avrebbero potuto farlo agli inizi di gennaio, com’era previsto, invece hanno voluto dare un segnale chiaro di smobilitazione a tutta la città», dice la sindaca Daniela Ghergo, avvocata ed ex assistente di Romano Prodi quando era presidente del Consiglio, alla guida di una lista civica di centrosinistra.

Nel Museo della Carta e della Filigrana, che si trova in un antico convento dei Domenicani, si ricorda che il primo documento legato alla produzione di carta a Fabriano è del 1264 e che nel Trecento i maestri cartai del luogo erano noti in tutta Europa. Inventarono la collatura, una tecnica che permetteva di impermeabilizzare i fogli prodotti con il cotone rendendoli meno deteriorabili delle pergamene usate fino ad allora, e la filigrana, che è un disegno, una scritta o un marchio che viene inserito nella carta al momento della fabbricazione ed è utilizzato soprattutto per evitare la contraffazione delle banconote. Nell’archivio della Fondazione Fedrigoni ci sono una lettera di Michelangelo Buonarroti e una di Giuseppe Garibaldi all’anarchico Errico Malatesta, entrambe su carta di Fabriano, un manoscritto autografo di Ludwig van Beethoven su carta filigranata e il logo del designer milanese Carlo Cattaneo che dal 1971 è il simbolo della carta di Fabriano.

Un’altra cartiera del gruppo Fedrigoni a Fabriano (Angelo Mastrandrea/il Post)

La sindaca Ghergo sostiene di trovarsi a fronteggiare, con pochissimi strumenti a disposizione, una «forte crisi identitaria ed economica» provocata dalle difficoltà dell’industria cartaria e di quella degli elettrodomestici, attorno ai quali ruota tutta l’economia cittadina. A dicembre, la multinazionale turca Beko ha annunciato 66 esuberi nella fabbrica di Melano, dove produce forni e piani cottura, e la chiusura del centro di ricerca e sviluppo, dove lavorano 300 persone.

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Fino al 2008, grazie alle cartiere e alle fabbriche di elettrodomestici, a Fabriano non c’era disoccupazione, il prodotto interno lordo cittadino era tra i più alti d’Italia e la città era definita «la Svizzera del centro Italia» per la qualità della vita e la ricchezza media. Ora al Centro per l’impiego hanno 3.700 disoccupati iscritti nelle liste, gli abitanti sono diminuiti da 32mila a 28mila in pochi anni perché le fabbriche si sono ridotte e molti giovani vanno a cercare lavoro altrove.

– Leggi anche: Cosa sta succedendo alla Beko in Italia

Molti abitanti inoltre si rivolgono alla Caritas o alle parrocchie per chiedere aiuto. «Siamo passati in pochi anni dal benessere vero alla crisi economica, con le famiglie che sono diventate il vero ammortizzatore sociale per i giovani», dice la sindaca Ghergo. Uno studio di Alessandro Sterlacchini, direttore del Dipartimento di scienze economiche e sociali dell’Università Politecnica delle Marche, sostiene che la perdita di 10mila posti di lavoro nella manifattura marchigiana nell’ultimo decennio possa «essere imputata alle difficoltà registrate dal comparto meccanico soprattutto nell’area di Fabriano».

Il 2 ottobre è morto nella sua casa di Fabriano Francesco Merloni. Aveva 99 anni ed era l’ultimo esponente di una dinastia che dagli anni Trenta ha governato l’economia e la politica della città, soprattutto fino agli anni Novanta. Con la sua morte a Fabriano si è chiusa simbolicamente un’epoca. In città sono molto comuni i discorsi nostalgici di una sorta di età dell’oro cittadina, quando la Merloni elettrodomestici, la Indesit e la Ariston, di proprietà di tre fratelli Merloni, davano lavoro a migliaia di persone, e un po’ meno erano impiegate nelle cartiere.

Lorenzo Castellani, professore di Storia delle istituzioni politiche all’università Luiss di Roma, e originario di Fabriano, ha scritto che «di recente due cose mi hanno colpito: una conferenza a cui ho partecipato nella mia città dove espressamente si rimpiangevano i vecchi “padroni” rispetto al management attuale; i ritmi stravolti della città: la Fabriano di quando ero bambino aveva una vita scandita dalla fabbrica, non importava che tu fossi figlio di padroni, impiegati, operai, mentre oggi può capitare di entrare in un bar alle 11 della mattina e trovarci qualcuno in età lavorativa mentre prima era sostanzialmente impossibile».

Per tutti l’inizio del declino è coinciso con il passaggio di proprietà delle aziende a gestione familiare ai fondi d’investimento. «La dismissione dell’industria cartaria è cominciata quando la Fedrigoni è stata acquistata dai fondi anglosassoni, che non hanno nessun legame con questo territorio», dice la sindaca Ghergo. «Non capiscono che la carta per noi ha un forte valore simbolico, agiscono secondo logiche solo finanziarie».

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