Le differenze retributive tra i lavoratori dipendenti privati del Nord e i colleghi del Sud sono evidentissime: se i primi percepiscono una busta paga di circa 2 mila euro lordi al mese, quella dei secondi, invece, sfiora i 1.350. In buona sostanza nel settentrione si guadagna mediamente quasi il 50% in più; pari, in termini monetari, a +8.450 euro lordi all’anno. Per questo mese di dicembre, ovviamente, lo spread riguarda anche la tredicesima mensilità che viene pagata proprio in questi giorni. E sebbene le gabbie salariali siano state abolite nel 1972, oltre 50 anni di applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) non ha mitigato le marcate differenze retributive tra le regioni italiane, anche se l’obiettivo, in linea di massima, è stato raggiunto solo a livello intrasettoriale. È chiaro che queste disuguaglianze salariali molto marcate sono legate al caro-vita e alla produttività che sono nettamente superiori al Nord rispetto al Sud; al fatto che i valori retributivi medi sono condizionati negativamente dalla presenza dei contratti a termine (part time involontario, stagionali, intermittenti, etc.), che gravitano in particolare nel Mezzogiorno e alla concentrazione delle multinazionali, dei grandi gruppi industriali e degli istituti di credito/finanziari/assicurativi che, rispetto alle Pmi, erogano stipendi più pesanti, ma non sono distribuiti uniformemente lungo tutto lo stivale. La presenza di queste realtà, infatti, si raccoglie, in particolar modo, nelle grandi aree urbane del Nord.
È quanto emerge dall’analisi che è stata condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
Nel 2023 le buste paga sono aumentate del 3,5%, ma l’inflazione del +5,6%
Nel 2023 il monte salari lordo erogato ai 17,3 milioni di lavoratori dipendenti privati presenti in Italia ha toccato i 411,3 miliardi di euro: equivalenti ad una retribuzione media mensile lorda di 1.820 euro, il 3,5% in più rispetto al 2022, anche se l’inflazione, sempre l’anno scorso, è cresciuta molto di più, per l’esattezza il 5,7%. Viene segnalato, infine, che oltre il 60% dell’ammontare complessivo delle retribuzioni erogate nel Paese sono state pagate ai lavoratori del Nord.
Stipendi top a Milano, Monza e lungo la via Emilia. 30° posto per Verona
L’area geografica con gli stipendi medi più alti è Milano: nel capoluogo regionale lombardo la retribuzione mensile media nel 2023 è stata di 2.642 euro. Seguono i dipendenti privati di Monza-Brianza con 2.218 euro e i lavoratori delle province ubicate lungo la via Emilia. Ovvero, Parma con una busta paga lorda di 2.144 euro, Modena con 2.129 euro, Bologna con 2.123 euro e Reggio Emilia con 2.072 euro. Nella graduatoria nazionale che include 107 province, la prima realtà geografica del Mezzogiorno è Chieti che occupa il 55° posto con una retribuzione mensile media di 1.598 euro. Infine, tra le province con le retribuzioni più “leggere” scorgiamo Trapani con 1.143 euro, Cosenza con 1.140 euro e Nuoro con 1.129 euro. Maglia nera a livello nazionale è Vibo Valentia, dove i dipendenti occupati in questo territorio percepiscono uno stipendio mensile medio di soli 1.030 euro.
Guardando la graduatoria delle regioni, il Veneto su colloca al 4° posto con una retribuzione media mensile lorda nel 2023 di 1884 euro per 1711007 lavoratori, con un monte salariale di quasi 42 miliardi. Mediamente, rispetto all’anno precedente, gli stipendi in regione sono aumentati del 3,3%.
La provincia di Verona si colloca invece al 30° posto in Italia. Nell’area scaligera la retribuzione media nel 2023 è stata di 1865 euro per 340037 lavoratori ed un monte stipendi di poco più di 8 miliardi. La variazione rispetto al 2022 è in linea con quella regionale, registrando un +3.2%.
A dicembre è previsto il doppio stipendio
A seguito del Decreto emanato dal Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, a partire dal 1960 tutti i lavoratori dipendenti italiani ricevono nel mese di dicembre un doppio stipendio. Pertanto, alla consueta mensilità si aggiunge la tredicesima, la quale consente ai beneficiari di concludere l’anno con una maggiore stabilità economica. In relazione all’importo netto erogato mensilmente, la gratifica natalizia risulta leggermente inferiore, poiché il livello di tassazione applicabile su quest’ultima è superiore rispetto a quello in capo allo stipendio ordinario. Inoltre, quest’anno si registra una novità positiva: in questi giorni 4,6 milioni di lavoratori subordinati con un reddito lordo inferiore a 28.000 euro e almeno un figlio a carico, stanno percependo un bonus (una tantum) di 100 euro netti.
Quest’anno tredicesime pagate regolarmente
Nei periodi di crisi del 2008/2009 e del 2012/2013, ricordano dalla Cgia di Mestre, numerose piccole e micro imprese a causa della mancanza di liquidità erogarono la gratifica natalizia ai propri dipendenti con grave ritardo, talvolta ben oltre i primi mesi dell’anno successivo. Quest’anno, invece, non sembrano esserci problemi e fino ad ora, al netto di alcune situazioni di crisi conclamate, non sono state segnalate criticità particolari nella corresponsione della tredicesima, anche nei settori che hanno subito un significativo rallentamento produttivo; come la filiera automobilistica, il comparto della moda, il legno-arredo e la meccanica.
Per molte Pmi tra Natale ed Epifania scattano le ferie “forzate”
Se in questi giorni la tredicesima viene pagata regolarmente e comunque non oltre la vigilia di Natale, molte piccole e medie imprese manifatturiere dei settori più in affanno hanno deciso di sospendere l’attività da martedì prossimo fino all’Epifania. L’assenza di ordinativi ha infatti indotto molti imprenditori a chiudere i cancelli delle proprie fabbriche per circa quindici giorni, consentendo così ai propri collaboratori di usufruire delle ferie accumulate nei mesi precedenti, ma non ancora godute. Fiduciosi che con il nuovo anno i venti di crisi che hanno soffiato negli ultimi mesi lascino il posto al bel tempo.
Incentivare il contratto di secondo livello
Come è stato accennato in precedenza, l’applicazione dei CCNL ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste e in molti casi sono addirittura aumentate, perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie, oltre a riconoscere stipendi molto più elevati della media, dispongono anche di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata (manager, dirigenti, quadri, tecnici, etc.), con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante.
Pertanto, secodo la Cgia di Mestre in Italia le disuguaglianze salariali a livello geografico sono importanti, ma, grazie a un preponderante ricorso alla contrattazione centralizzata, si hanno differenziali intra-settoriali più contenuti rispetto agli altri Paesi. Per contro, la scarsa diffusione in Italia della contrattazione decentrata – istituto, ad esempio, molto diffuso in Germania – non consente ai salari reali di rimanere agganciati all’andamento dell’inflazione, al costo delle abitazioni e ai livelli di produttività locale, facendoci scontare dei gap retributivi medi con gli altri paesi molto importanti. Una situazione che ha penalizzato in particolar modo i lavoratori settentrionali.
Coinvolti solo 5,6 milioni di dipendenti
Sono ancora pochi i lavoratori che beneficiano della contrattazione di secondo livello. Nell’analisi statistica sulla contrattazione decentrata realizzata dall’ISTAT, infatti, solo il 23,1% delle imprese con almeno 10 dipendenti del settore privato6 applica un contratto decentrato. Si stima che i lavoratori coinvolti sarebbero il 55% dei dipendenti totali delle imprese con almeno 10 addetti, pari, in termini assoluti, a 5,6 milioni di lavoratori. L’ISTAT, comunque, precisa che questi lavoratori non possono essere considerati come la platea esatta dei dipendenti coperti dalla contrattazione decentrata, in quanto, non tutti gli addetti potrebbero essere interessati dall’applicazione di questa misura.
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