La guerra scatenata da Israele sulla Striscia di Gaza, all’indomani dell’attacco di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi il 7 ottobre 2023, è estremamente violenta e annichilente, ha raggiunto livelli di devastazione senza precedenti, configura molteplici crimini di guerra e crimini contro l’umanità, vìola diverse convenzioni e mostra, praticamente in diretta mondiale, l’efferatezza, l’intensità e la capillarità della distruzione nonché un totale disprezzo per la vita umana.
Per Francesca Albanese, Relatrice Speciale ONU sulla situazione dei diritti umani nel Territorio palestinese occupato, “I palestinesi a Gaza sono vittime di un genocidio lento, condotto sotto gli occhi di un mondo che sceglie di restare in silenzio. Questo silenzio non solo perpetua l’ingiustizia, ma legittima la distruzione di un popolo”. E che quello a Gaza sia un genocidio, accusa ritenuta ‘plausibile’ dalla Corte Internazionale di Giustizia, è affermato anche da diverse organizzazioni internazionali. Per Amnesty International, ad esempio, il genocidio è l’unica inferenza ragionevole di quanto Israele ha commesso e sta commettendo, intenzionalmente, a Gaza.
Questo genocidio è di certo il più raccontato della storia e al contempo, probabilmente, quello più negato dalla politica e dai media mainstream occidentali.
Per questo vogliamo parlarne.
Vogliamo parlarne perché viviamo un panorama mediatico e politico asfittico, dove il discorso pubblico è inquinato da un evidente doppio standard, dove la narrazione è appiattita sulle veline del governo israeliano e dove ogni critica alle azioni di Israele viene silenziata e considerata antisemita.
Vogliamo parlarne perché a Gaza Israele ha creato una “zona nera dell’informazione” impedendo ai media internazionali di accedere all’area e prendendo deliberatamente di mira delle voci libere di giornalisti palestinesi.
Vogliamo parlarne perché quanto avviene riguarda, certamente, i diritti dei e delle palestinesi ma anche il futuro stesso del diritto internazionale e dell’universalità dei diritti umani, con ricadute sul mondo intero, oggi e nel futuro: ogni violazione che lasciamo passare impunita, ogni norma che permettiamo di calpestare, ogni diritto umano che ignoriamo indebolisce il sistema internazionale e la nostra capacità collettiva di affrontare le ingiustizie.
E, usando ancora le parole di Francesca Albanese, noi non possiamo né vogliamo “restare neutrali di fronte all’ingiustizia. L’occupazione e l’apartheid non si risolvono con il silenzio, ma con il coraggio di affrontare la verità”.
Molti sono gli interrogativi sul rispetto delle convenzioni internazionali che proteggono i civili durante i conflitti armati e sull’applicazione e l’efficacia del diritto internazionale umanitario a Gaza.
Ne parliamo con Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool e già nel team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale (ICC), che ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande e che ringraziamo per la disponibilità.
Iniziamo dallo sgomberare il campo da un dubbio che si ripresenta all’interno di quasi ogni dibattito pubblico sul tema: ai sensi del diritto internazionale, le azioni compiute dalle IDF (Israel Defense Forces) a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 sono riconducibili al “diritto di difesa” di Israele?
TM: Proviamo a fare chiarezza: innanzi tutto si tratta in realtà di due branche diverse del diritto umanitario, vanno infatti distinte le regole relative all’uso della forza da quelle relative alle condotte.
Ai sensi del diritto internazionale, come espresso anche nella decisione della Corte Internazionale di Giustizia, Israele non ha diritto all’uso della forza nei confronti dei palestinesi nella Striscia di Gaza (perché la Striscia di Gaza è un territorio occupato e su un territorio occupato la potenza occupante non può agire con la forza) quindi le operazioni militari sono – di per sé – illegali e, quindi, non possono essere considerate un diritto.
E poi, all’interno di queste operazioni illegali, Israele ha anche commesso una lunghissima lista di violazioni.
Sebbene molte persone, anche della politica, si schierino pregiudizialmente contro questa ipotesi, diverse associazioni internazionali, la Relatrice Speciale ONU Francesca Albanese, alcuni Paesi e una parte sempre più ampia di opinione pubblica mondiale parlano esplicitamente di “genocidio”.
Le informazioni raccolte per suffragare la tesi del genocidio e dell’intento genocida sembrano tantissime, molte sono messe a disposizione dagli stessi israeliani (dichiarazioni di elementi di spicco della politica e del governo, foto e video condivisi spontaneamente sui social da parte dei soldati delle IDF, dichiarazioni pubbliche del leader dei coloni, ecc), altre sono contenute nei report di organismi internazionali e associazioni non governative.
La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sta valutando nel merito l’accusa a Israele, avanzata dal Sud Africa, di violazione della Convenzione sul genocidio, ritendendo il genocidio “plausibile” e fornendo indicazioni e direttive agli Stati membri.
Le indicazioni della Corte rivolte agli Stati affinché si adoperino per scongiurare il genocidio sembrano però in larga parte inascoltate (USA e Germania rinnovano continuamente le forniture di armi e anche l’Italia sta continuando a fornire supporto militare per quanto, pare, nell’ambito di autorizzazioni precedenti). Le indicazioni della ICJ non sono vincolanti per i Paesi? Cosa rischiano i Paesi che non agiscono di conseguenza?
TM: Sì! Le disposizioni sono largamente inascoltate. Le indicazioni, le disposizioni e le ordinanze della Corte di Giustizia sono assolutamente vincolanti ai sensi del diritto internazionale. Non agendo di conseguenza, gli Stati operano in violazione di queste ordinanze ma soprattutto in violazione degli obblighi di prevenzione che hanno ai sensi della Convenzione sul genocidio.
Il rischio, per il diritto internazionale, è quello di essere portati davanti alla ICJ. Cosa che ad esempio sta avvenendo nel caso del Nicaragua contro la Germania.
Ancora relativamente alla pronuncia della ICJ: questa chiedeva a Israele di notificare i progressi nell’applicazione delle prescrizioni. Cosa è stato fatto?
TM: Israele in effetti ha presentato la prima volta un rapporto confidenziale. Nessuno però l’ha mai potuto vedere.
Una conseguenza drammatica del perdurare della situazione di sterminio della popolazione palestinese, del silenzio e della complicità della comunità internazionale occidentale (ma anche delle mancate azioni del resto del mondo) e dell’assoluta impunità di Israele sembra essere un’erosione drammatica e apparentemente insanabile dell’universalità del diritto internazionale.
Teme che, se venisse meno la convinzione che la convivenza tra gli Stati possa basarsi sul rispetto di regole condivise e – appunto – universali, allora l’umanità si ritroverebbe in una situazione drammaticamente pericolosa in cui a contare sono solo i rapporti di forza?
TM: E infatti già sta succedendo che viene minata la credibilità del diritto internazionale: è quello a cui stiamo assistendo, soprattutto negli ultimi quattordici mesi, si vedano anche gli attacchi alla Corte Penale Internazione o alla Corte Internazionale di Giustizia. Questo è estremamente pericoloso, sì.
L’impunità di Israele e la sua situazione d’eccezione dinnanzi al consesso mondiale sono probabilmente una ferita che rappresenta un’ingiustizia così profonda che non smette di dolere e influire sulle relazioni internazionali: sono diverse le risoluzioni ONU che Israele viola costantemente, coperta spesso dall’alleato americano (ad es all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).
E già da decenni, secondo molte organizzazioni internazionali e movimenti per i diritti umani, Israele opera in regime di apartheid, occupa territori e risorse, insedia coloni (in Cisgiordania), assedia la Striscia di Gaza, ecc.
Come si configura, nel diritto internazionale, l’apartheid israeliana?
TM: L’apartheid è già di per sé una qualificazione giuridica: è una discriminazione istituzionalizzata e un crimine contro l’umanità. E, nel caso specifico di Israele, l’apartheid è ampiamente documentato.
Da poco le Nazioni Unite hanno dichiarato illegali le colonie israeliane e chiedono a Israele di ritirarsi da tutto il territorio palestinese occupato. È una decisione importante? Quali conseguenze potrà avere?
TM: Quella della Corte Internazionale di Giustizia è una decisione estremamente importante! Ovviamente le colonie sono illegali a prescindere dalle disposizioni della ICJ – ai sensi del diritto internazionale non c’è cosa più chiara – e sono illegali tutte: Israele fa distinzione tra colonne legali e colonie illegali, ma tutte sono illegali secondo il diritto internazionale.
Le conseguenze che Israele porebbe avere sono le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia ma anche le indagini della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra: gli insediamenti, ai sensi del diritto penale internazionale, sono un crimine di guerra.
Oltre alla ICJ, anche la Corte Penale Internazionale (ICC) è infatti coinvolta. C’è stata la richiesta del procuratore capo, Karim Khan, per un mandato d’arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e di tre leader di Hamas – Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh – per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Israele e nello Stato di Palestina, specificamente nella Striscia di Gaza occupata, a partire almeno dal 7 ottobre 2023.
Nei mesi intercorsi dalla richiesta all’emissione dei mandati d’arresto pare che la Corte sia stata sottoposta a livelli senza precedenti di intimidazioni, pressioni e misure coercitive che rappresentano una seria minaccia all’amministrazione della giustizia. Il Presidente Akane ha affermato “Vorrei essere molto chiaro su questo. Non possiamo arrenderci. Non ci arrenderemo”.
Il 21 novembre 2024, infine, la Corte ha accolto la richiesta emettendo i mandati d’arresto per Netanyahu, Gallant e Deif (Haniyeh e Sinwar sono stati nel frattempo uccisi da Israele). La richiesta e i mandati emessi hanno sollevato scalpore, ma che rappresentano?
TM: L’emanazione dei mandati d’arresto rappresenta una decisione storica, per le vittime palestinesi innanzitutto ma anche per la Corte stessa, che ha dimostrato di riuscire a non soccombere alle tante pressioni politiche
In Italia hanno suscitato notevole attenzione (decisamente più delle decine di migliaia di palestinesi uccisi, la maggior parte dei quali donne e bambini) le “frizioni” tra IDF e missione UNIFIL (United Nations – Interim Forces in Lebanon, che conta appunto molti soldati italiani) nel Libano del Sud.
Israele ha contrastato i soldati UNIFIL e chiede loro di spostarsi. Ma la missione UNIFIL è una missione ONU, con regole d’ingaggio stabilite dall’ONU. Non si trova lì col consenso delle parti e quindi anche di Israele?
TM: In realtà è irrilevante il consenso di Israele. Uno degli strumenti che le Nazioni Unite hanno è quello di predisporre forze di pace; gli attacchi alle missioni di pace sono una chiara violazione del diritto internazionale e sono anche un crimine di guerra.
La Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato una legge che vieta “qualsiasi attività” dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi) all’interno di Israele. Questo potrebbe danneggiare l’operatività di UNRWA, già oggetto di una forte campagna politica e mediatica di discredito e di odio e oggetto di molteplici attacchi sul campo, con scuole UNRWA più volte colpite e con tantissimi operatori uccisi.
Come si configurano le azioni di Israele contro l’UNRWA?
TM: Rendere fuorilegge l’UNRWA è illegale ai sensi del diritto internazionale, quella non è una decisione che può prendere unilateralmente uno Stato ma dovrebbe eventualmente essere presa dagli organi rilevanti delle Nazioni Unite. E possiamo anche dire, tornando al passaggio sul genocidio, che rientra anche in quegli atti plausibilmente genocidi perché rendere fuorilegge l’Agenzia impone ulteriori condizioni di vita impossibili volte a distruggere i palestinesi nella Striscia di Gaza.
Quella di avanzare accuse senza fornire alcuna prova sembra una strategia consolidata da parte di Israele, strategia che funziona dato che continua nella più assoluta impunità. Spesso a fonte di stragi di civili, bombardamenti su aree densamente popolate, incendi in campi profughi, le risposte che arrivano dalle IDF (sovente riportate acriticamente dalla stampa nazionale) sono di due tipi: la prima è che l’obiettivo era legittimo perché lì si nascondevano militanti di Hamas, la seconda è che la popolazione era stata avvisata di allontanarsi. A prescindere da considerazioni di carattere etico (e anche dalla perdurante e totale assenza di condivisione di prove), queste “giustificazioni” trovano un fondamento nel diritto internazionale umanitario?
TM: Nel diritto umanitario internazionale è consentito colpire solamente gli obiettivi militari ed è assolutamente vietato – è proprio uno dei principi fondamentali, questo! – colpire intenzionalmente obiettivi civili.
Nonostante Israele affermi di colpire obiettivi militari, in realtà non ha mai fornito prove convincenti di questo. In ogni caso, nel dubbio, non puoi colpire. E questo vale per gli ospedali, per le moschee, per i mercati, per i rifugi, la lista è veramente veramente lunga.
Gli attacchi indiscriminati sono migliaia in questa guerra e sono dei crimini di guerra.
Sembra sempre più evidente un uso strumentale dell’accusa di terrorismo e un uso disinvolto – e spesso funzionale a lotte di potere – del concetto di “guerra al terrorismo”, dietro al quale ogni Stato inserisce, autoassolvendosi, qualunque azione che non potrebbe svolgere per via “ordinaria”, una sorta di lasciapassare.
Le azioni compiute il 07/10 da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi vengono considerati, a seconda dell’interlocutore, come atti di resistenza o come atti di terrorismo. Ma qual è il confine tra le due definizioni?
Analogamente, le azioni compiute da eserciti regolari – come quello israeliano – nei confronti della popolazione – come quella di Gaza – possono essere definite come terroristiche?
TM: La definizione di terrorismo è molto complicata nel diritto internazionale, da sempre. Non c’è una definizione o una convenzione universale proprio per i diversi punti di vista sulla linea di confine tra la liberazione e il terrorismo, in alcuni casi.
Oggi ci sono delle indagini a livello internazionale per accertare i fatti di quanto accaduto il 7 ottobre, anche da parte della Corte Penale Internazionale. È auspicabile che anche Israele sostenga (cosa a cui si è opposto fino adesso) il lavoro di una commissione indipendente d’inchiesta.
Comunque, non c’è bisogno di riferirsi al terrorismo: tutti gli atti elencati possono essere definiti crimini di guerra, sono una violazione del diritto internazionale umanitario (il regime giuridico che si applica, infatti, è quello del diritto internazionale umanitario e le violazioni del diritto internazionale umanitario possono essere crimini di guerra, come in questo caso).
Vale lo stesso per l’esplosione remota dei cercapersone di Hezbollah (ma che potevano essere – ed erano – nelle mani di chiunque, o nelle vicinanze di chiunque) in Libano, che hanno indiscriminatamente colpito tra i civili?
TM: Sulla questione dell’esplosione dei cercapersone, siamo probabilmente davanti a un attacco indiscriminato.
Bisogna capire se il contesto è quello in cui si applica il diritto internazionale umanitario, ossia se l’azione può essere considerata come avvenuta all’interno di un conflitto già in corso (il diritto internazionale umanitario infatti è quello che si applica in caso di conflitto armato): se il contesto è considerato come di conflitto, si potrebbe trattare di un crimine di guerra, altrimenti potrebbero eventualmente rappresentare un crimine contro l’umanità.
Per molte, troppe, persone tutto sarebbe nato il 7 ottobre 2023, come se in precedenza a Gaza e nella Palestina tutta la situazione – lo status-quo – fosse di relativa tranquillità e pacifica convivenza. Per esse, quindi, solo (ed esclusivamente) l’azione scellerata di gruppi terroristici avrebbe portato a quello che vediamo oggi. Ma non è assolutamente così, e con Triestino Mariniello abbiamo provato a illuminare e spiegare – riconducendoli al diritto internazionale – vari aspetti, alcuni dei quali coinvolgono in modo diretto anche il contesto generale.
In merito a questa (radicata) convinzione, riportiamo le preziose parole della Relatrice Speciale Francesca Albanese.
Lo status quo non sta solo brutalizzando i palestinesi oltre ogni immaginazione costringendoli a sopravvivere per generazioni in una disperazione intollerabile; mette sempre più a repentaglio la protezione dei civili israeliani, nonostante le promesse contrarie. Molti individui e gruppi in Israele insistono sul fatto che sottomettere i palestinesi è necessario per la loro sicurezza. Ciò è giuridicamente e moralmente inaccettabile. Ma è anche sbagliato e miope. Mantenere i palestinesi sotto occupazione e dare per scontato che la situazione possa essere risolta militarmente si è rivelato ancora una volta falso.
La sicurezza per tutti è raggiungibile solo realizzando la parità di diritti, ponendo fine all’occupazione e rimuovendo la discriminazione istituzionalizzata. Dare per scontato che solo un popolo meriti dignità, sicurezza e libertà non è solo razzista; è politicamente e strategicamente imprudente e garanzia di ulteriori tragedie.
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