Addio 2024, l’anno della suspense

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Ripensare un anno che sta per finire provando a domandarsi come verrà ricordato a distanza di tempo è un utile esercizio: aiuta a mettere il tempo in prospettiva, a collocare il presente nella storia. Forse il 2024 resterà nella memoria come un anno di suspense, che ha tenuto il mondo in tensione dall’inizio fino al termine, e che lascia molti interrogativi ancora irrisolti.

La suspense ha riguardato, prima di tutto, le presidenziali statunitensi. Si sapeva da subito che lo sfidante sarebbe stato Donald Trump: che mirava a una nuova elezione dopo essere stato nel 2020 bocciato dagli elettori (sconfitta da lui mai ammessa con le conseguenze che sappiamo) e che nel frattempo ha accumulato un gran numero di condanne giudiziarie.

L’ombra incombente di un ritorno di Trump alla presidenza ha pesato lungo l’intero anno sul mondo intero: non faceva e non fa mistero di puntare su di lui Vladimir Putin, per ottenere una pace che gli permetta di proclamare vittoria; così molti leader della destra europea a cominciare da Viktor Orbàn; e Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, che conta di vedere premiata dall’alleato principale del suo paese la sua politica di massacri disumani in nome della “sicurezza dello stato ebraico”, e di liquidare il mandato emesso contro di lui dalla Corte internazionale di giustizia.

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Gli Usa e il mondo sono rimasti a lungo in sospeso anche sul nome del contendente: il presidente Biden ha rinunciato a ricandidarsi solo a tre mesi e mezzo dalle elezioni, lasciando il posto a una candidata nera e donna, Kamala Harris, che è sembrata quasi alla pari nei sondaggi fino alla votazione per essere poi sconfitta in modo netto da un elettorato in larga parte ben poco interessato a Russia o Israele ma inquieto per una situazione economica percepita come peggiore di quanto in realtà non fosse.

L’elezione di Trump però non ha sciolto del tutto la suspense, anzi. Se era chiaro fin dall’inizio che si sarebbe dedicato a vendicarsi sistematicamente dei suoi veri o presunti nemici, c’è molto altro che non sappiamo ancora.

Quanto sia seria, per esempio, la minaccia di una guerra tariffaria non solo con la Cina ma anche con Canada ed Europa, che può compiacere un elettorato isolazionista e timoroso della globalizzazione finché non se ne sentirà il peso, inevitabile, sui prezzi.

Quanto sia seria la promessa di una deportazione in massa dei migranti irregolari, che oltre a costare miliardi di dollari creerebbe una crisi di ordine pubblico forse senza precedenti. E il mese di dicembre ha portato ulteriori cause di incertezza: le votazioni al Congresso da cui risulta che Trump non ha su deputati e senatori repubblicani il controllo ferreo che gli veniva generalmente attribuito; l’ascesa al potere, oltre che di figure al limite della razionalità come il cospirazionista Robert Kennedy jr. nominato alla sanità, anche dell’uomo più ricco del mondo Musk deciso a imporre, con il consenso del nuovo presidente, i propri scopi politici.

È solo a diversi mesi dall’inizio del prossimo anno che potremo, forse, capire in che direzione effettivamente si muoveranno gli Usa, il paese di cui tanti predicono il declino ma che è tuttora al centro della vita politica, economica, tecnologica del pianeta.

Ad accrescere la suspense ci sono state, e ci sono, le guerre: quelle più visibili in Europa orientale e Medio Oriente e le tante che continuano ignorate e terribili in buona parte dell’Africa (Etiopia, Sudan, Congo, Mozambico) e in parti dell’Asia.

Evidente e schiacciante, in tutti questi conflitti, è l’atrocità: il numero spaventoso non solo delle morti ma anche degli stupri, dei saccheggi, degli spostamenti forzati di intere popolazioni. Ma a tenerci tutti in sospeso c’è l’esito, perché è ancora vero quel che scriveva Omero quasi tre millenni fa, “all’impazzata, lo sai, imperversa la guerra”, i conflitti si sa come cominciano ma non come finiranno.

Anzi le guerre africane possono apparire del tutto interminabili, a causa della pluralità dei contendenti e degli interessi (soprattutto occidentali) in gioco. Per quanto riguarda il Medio Oriente la caduta del regime siriano è stata un ammonimento: anche in quell’area del mondo pensare la guerra nei termini semplici di due schieramenti contrapposti è decisamente miope. Sono pronte a scendere in campo e a rimettere il quadro in discussione, in ogni momento, entità nuove e perfino sconosciute.

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L’Unione Europea è arrivata a fine anno a darsi una leadership fragile che dovrà negoziare ogni giorno la sua tenuta, condizionata in modo sempre più evidente dal potere delle lobby: si è visto a inizio 2024 con l’improvviso ed effimero “movimento degli agricoltori” che ha imposto la revoca di norme di difesa del clima; e si vede ora con le pressioni forti in particolare in Francia e Italia contro un accordo commerciale con alcuni paesi latinoamericani, (Mercosur).

La fragilità economica e politica della Germania e della stessa Francia fanno immaginare che l’Unione resterà più ondivaga che in passato. Tanto che alcuni giornali americani hanno presentato l’Italia come paradossalmente “più stabile”. Ma se si osserva con attenzione si vede che sulla tenuta di una maggioranza sempre più litigiosa c’è poco da scommettere; e la suspense comincia nervosa a trasparire anche da quelle parti.

Se quanto avete letto finora non sembrasse abbastanza inquietante, vale la pena di ricordare il cosiddetto “orologio dell’apocalisse”: che è stato inventato con una forte metafora nel 1947 da una rivista autorevole, il Bulletin of Atomic Scientists per calcolare quanto il mondo sia vicino a una possibile catastrofe nucleare, e viene man mano aggiornato.

Nel 1991, dopo la firma da parte di Usa e Unione Sovietica di un accordo per lo smantellamento di gran parte degli arsenali atomici, si calcolava che “mancassero” 17 minuti alla mezzanotte finale. Nel gennaio 2024 il tempo di qui all’apocalisse è stato calcolato in 90 secondi, il più breve dell’intera storia. È realistico pensare che alla fine di quest’anno, con l’alleanza esplicita tra Russia e Corea del nord e con la minaccia continua di armi nucleari ancora più perfezionate, quel “tempo” simbolico verrà ulteriormente ridotto.

C’è solo da sperare che questa suspense drammatica non induca solo a rassegnazione ma, almeno in qualche gruppo dirigente, a una riflessione. 



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