La 22enne venne prosciolta, il 10 settembre 1945, dall’accusa di collaborazionismo. Mussolini: «Gli italiani mi mancano quando avrei bisogno di loro».«Gli ebrei? Gratta gratta trovi ruggine». La«lettera feroce» di Edda
«Ho frequentato Benito Mussolini, l’arbitro delle sorti del mio Paese, è vero; ma l’ho frequentato soprattutto perché ero legata a lui da vincoli di sangue. Dichiarai con convinzione di essere figlia di Bruno Curti sperando di evitare uno scandalo perché mia mamma (Angela, una delle amanti del dittatore, ndr) è il bene più santo al mondo. In un primo tempo provai a chiedere discrezione e ora so che sarebbe sempre assurdo pretenderlo dal prossimo. Ho detto la verità, ma forse ho fatto male. Ora vorrei chiedere comprensione e mi sembra qualcosa di molto ridicolo, se mi guardo intorno». La lettera dal carcere, quello di San Donnino a Como, è datata 16 agosto 1945 ed è firmata da Elena Curti, figlia segreta del Duce.
Prosciolta. «Voleva solo vedere il padre naturale»
Il fascismo non c’è più, spazzato via dal 25 aprile, data che ha ridato la libertà all’Italia. Catturato tre giorni dopo a Dongo, sul lago di Como, in una disperata fuga verso chissà dove, il dittatore fu giustiziato a Giulino di Mezzegra assieme alla sua amante Claretta Petacci. Sull’autoblindo in cui provarono a scappare c’era anche Elena, che aveva raggiunto il padre rocambolescamente e che poi fu arrestata dai garibaldini. Domenica scorsa il Corriere ha pubblicato una prima parte degli atti del processo per collaborazionismo, l’accusa dalla quale poi fu scagionata con la sentenza datata 10 settembre 1945. Nella motivazione firmata dal procuratore di Como Antonio Tribuzio — un bravo avvocato nominato dal Cln lariano — si legge che sì, Elena seguì Mussolini, ma «era più per il desiderio di rivedere il padre naturale» che non per «raccomandargli un ministro delle Corporazioni caduto in disgrazia». L’addebito per cui era finita a giudizio. Ma ora vediamo il seguito degli atti.
Le 20 pagine di verbali
Sono circa 20 pagine, una specie di «flusso di coscienza» giudiziario custodito presso l’Archivio di Stato di Como e letto dal Corriere. La ragazza, all’epoca 23 anni, studentessa di Scienze Politiche, in un primo interrogatorio aveva negato di essere la figlia del Duce, salvo poi ripensarci nella dichiarazione giurata, appunto quella del 16 agosto. Una «marcia indietro» giunta, forse, perché messa alle strette dal gossip che intanto stava circolando, pure tra i partigiani. Ma la conferma del pettegolezzo probabilmente le salvò la vita in quei giorni in cui la conta dei fascisti uccisi lì sul lago di Como rivaleggiava con quella del «triangolo rosso» emiliano. Ciò che emerge da Elena è un inedito ritratto intimo di suo padre, incontrato più volte sia a Roma sia a Salò.
«Il collaborazionismo? Io mi sento immune»
Colpisce come le parole di questa ragazza – riportate su fogli dattiloscritti dai quali affiora un periodare puntuale e colto – già sappiano più di storia che di cronaca; il fascismo pare lontano, eppure son passate solo poche settimane dall’archiviazione di quella che Elena spesso definisce «guerra civile». Non solo. Talvolta sembra di leggere verbali simili a quelli di Tangentopoli. Come oggi farebbero certi politici sotto inchiesta, Elena si appella al procuratore «pregandolo di anticipare il mio interrogatorio». Vuol spiegare, forse ha paura. Di sicuro si difende bene: quanto al «collaborazionismo, io mi sento immune dalle pene contemplate da tale reato» e semmai «ho amato l’Italia come da giovane si può amare un ideale grande, come si ama l’amore».
«Perché la vostra situazione economica era precaria?»
Tra le prime domande del «commissario istruttore», c’è questa: perché «la situazione economica della famiglia Curti a Roma, nonostante l’appoggio formidabile di cui avrebbe potuto disporre, era precaria?». Ecco la risposta: «Per ragioni di dignità. Mia madre non ha mai voluto far conoscere all’ex Duce tale situazione familiare, e ciò anche quando lo stesso la interpellava in proposito».
Il tu e il voi
Discorrendo «di questo e d’altre cose la signorina Curti ammette che la sua confidenza con Mussolini era tale da potersi permettere di usare il “tu”, anzi (dice la signorina Curti) “fu proprio il Duce a dirmi di trattarlo così. L’invito sembrava eccessivo; la dimostrazione migliore sta nel fatto che quando visitai Mussolini per la prima volta durante il periodo repubblicano ripresi a dargli del Voi intendendo attribuire un maggior rispetto a colui che avrebbe dovuto reggere le sorti della mia Patria».
«Gli italiani mi mancano quando avrei bisogno di loro»
Elena parla di un colloquio a fine 1942. A Mussolini, riferendosi all’Italia, dice «che la situazione era molto precaria, nell’opinione pubblica quest’uomo non era più considerato dalla popolazione quello di qualche anno prima». Al che «lui reagì come sbalordito, e nel medesimo tempo incredulo». Nel maggio 1943 parlano dello stesso tema, forse a palazzo Venezia, e stavolta lui è lapidario: «Sapessi com’è doloroso vedere che gli italiani mi vengono a mancare proprio quando avrei più bisogno di loro». E ancora: «Allorché mi provai a muovergli qualche rimprovero ebbi l’impressione che i miei richiami lo svegliassero da una specie di letargo morale nel quale era caduto. Vedevo i muscoli del viso contrarsi, ma era espressione di meraviglia, non contrarietà».
«Quando voleva che gli leggessi dei libri»
Elena racconta di quando vedeva il padre a Gargnano, il paese sul Garda in cui tutta la famiglia Mussolini dimorò durante la guerra civile ospitando anche Eraldo Monzeglio, il calciatore due volte campione del mondo, uomo di fiducia del dittatore ma con insospettabili contatti con la Resistenza. «Io informavo il Duce di quello che sentivo dire dalla gente», «ma più mi appassionavo e cercavo di capire e di sentire per poi riferirgli, più lui diventava apatico, al punto di proibirmi di raccontagli quelle storie». «Piuttosto chiedeva di leggergli un brano di qualche libro o di conversare di cose più leggere e personali».
«Io non sono più il padrone, lo sono i tedeschi»
Circa i nazisti, Elena dice al padre che «il popolo si aspettava qualche cosa da lui, qualche azione importante anche perché non poteva più soffrire l’oppressione tedesca. Ma egli mi rispose che il popolo non comprendeva che lui non era più il padrone, ma ormai lo erano i tedeschi».
«Estromessa perché la Petacci era gelosa»
Quanto alla Petacci, la figlia segreta del Duce dice che già nel luglio 1944 «incominciavano a correre dei pettegolezzi proprio a proposito dei miei rapporti con Mussolini. La stessa Petacci che per qualche tempo si era tenuta in disparte, pare fosse riapparsa alla ribalta. Mi venne riferito che questa donna fece delle scene di gelosia» a seguito delle quali Clara — convinta che Elena fosse l’amante del Duce, come scrisse nei suoi diari visionati dallo storico e giornalista Pasquale Chessa — fu estromessa dalla routine delle visite al padre.
«Mi rimproverò, piansi, si rabbonì: mi chiese di scrivergli»
Ma nell’ottobre 1944 Elena riesce nuovamente «a penetrare la fortezza» a a Gargnano salvo «vedermi trattata malissimo da colui che portavo sempre nel cuore come un padre. Egli mi rimproverò di aver fatto non so che perché non si spiegò e io ne rimasi tanto mortificata» da scoppiare «in un pianto dirotto. Di fronte alle mie lacrime egli si rabbonì un po’ e cercò di consolarmi dicendomi “scrivimi, scrivimi che mi farai sempre piacere”». Poi la redarguisce di nuovo perché «non gli avevo scritto prima e mi promise che in seguito mi avrebbe ricevuto ancora».
«La colossale fandonia delle armi nuove»
Sulla «possibilità che a un certo momento Mussolini abbia potuto pensare che la Rsi» potesse «finire presto e ingloriosamente mi pare non ci sia da dubitare». Un giorno Elena chiese a Pavolini se fosse possibile «un collasso del fronte» e il vice di Mussolini rispose: «Sì è possibile». Poi Elena aggiunge: «Eravamo ancora nel periodo in cui si persisteva a strombazzare l’imminente entrata in campo della più colossale delle fandonie della storia, le armi nuove».
«Gli ebrei? Non ti fidar di loro: gratta gratta, scopri ruggine»
«A domanda dell’istruttore la signorina Curti risponde: «Non posso dire se a proposito di antisionismo Mussolini sia sempre stato dell’opinione manifestatasi poi con la lotta contro gli ebrei, però so che una volta parlando con mia mamma, per la quale un certo nostro amico ebreo era tuttavia un’ottima persona, egli rispose: “Io non dico che non si possa far d’ogni erba un fascio, tuttavia non ti fidar di loro ma gratta gratta e poi vedrai che un tantino di ruggine lo scoprirai per tutti».
«Edda mi ha scritto una lettera feroce»
Per quanto riguarda il processo di Verona che vide la fucilazione di alcuni gerarchi che votarono la caduta dal fascismo il 25 luglio, «io ebbi occasione di rivolgere qualche domanda al Duce. Ricordo – prosegue Elena – che egli mi disse di aver ricevuto una lettera feroce dalla figlia Edda ma soggiunse che era anche una necessità (evidentemente riferendosi alla fucilazione di suo genero, Galeazzo Ciano, ndr). Per conto mio ebbi l’impressione che si esprimeva in tal senso per persuadere se stesso». Il primo dei due interrogatori termina qui. Il secondo verte interamente sulla fuga a Dongo (continua).
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