«Difendere l’idroelettrico dalla concorrenza estera»

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«Non si comprende – sottolinea Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energia – perché l’Italia debba seguire un percorso diverso di liberalizzazione rispetto agli altri Paesi». Ieri, su molti quotidiani, diverse associazioni di imprese, tra cui Anie ed Energia Futura, di consumatori, sindacati e Onlus hanno pubblicato il ‘Manifesto Uniti per l’Idroelettrico Italiano”. Paventano che gli impegni presi dall’Italia nel Pnrr per aprire il nostro mercato anche a imprese di Paesi che non garantiscono reciprocità nei loro sistemi metta a rischio sia il processo di decarbonizzazione sia un settore che 4.800 impianti produce «un fabbisogno di oltre 15 milioni di famiglie, genera valore per circa 2 miliardi all’anno e coprendo il 40 per cento delle rinnovabili. Da qui la richiesta al governo di introdurre correttivi, che potrebbero portare anche a una proroga delle concessioni. Appello al quale il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, risponde: «Perseguiremo ogni strada per un sistema più bilanciato».

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Quali sono i rischi per l’Italia?

«Un operatore può decidere a chi dare l’energia. E uno straniero sentirebbe meno vincoli verso un mercato, il nostro, che non è il suo. E nulla osta che venda l’elettricità oltre confine e l’Italia resti con meno energia decarbonizzata. E questo è un tema rilevante nel processo per raggiungere gli obiettivi fissati nel Pniec. A maggior ragione il discorso vale se il soggetto internazionale che entra da noi proviene da un Paese dove non c’è reciprocità verso le imprese italiane. In questo segmento lavorano 12mila persone che vanno tutelate e gli attuali attori sono imprese molto legate al territorio. Eppoi c’è il nodo degli investimenti».

Che in un momento di incertezza come questo rallentano.

«Facendo chiarezza sul tema delle concessioni, possiamo impegnare 15 miliardi di euro, che sono necessari per mantenere gli alti livelli di produzione attuale e le manutenzioni e difendere l’ambiente».

Ma si può cambiare un obiettivo del Pnrr?

«Mi sembra che ci sia già un’interlocuzione in corso tra il governo e la Commissione per rivedere le scadenze del piano».

Perché il vostro appello è più impellente in questo momento?

«Perché rispetto a quanto previsto nella legge della concorrenza del 2021, il mercato dell’energia è cambiato. Si è accelerato il processo della decarbonizzazione nella produzione e nei consumi. Che si inserisce in uno scenario di turbolenze geopolitiche, dove non c’è soltanto il conflitto russo ucraino. Mentre si sono diversificati i nostri fornitori e aumentati i costi di trasporto. Eppoi vorrei ricordare sia che il nostro sistema è già aperto alla concorrenza sia, soprattutto, che siamo la seconda manifattura europea. E il prezzo dell’energia è un fattore determinante dello sviluppo dal punto di vista produttivo».

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E i prezzi dell’energia che ci rendono sempre meno competitivi.

«Rispetto alla media italiana, in Germania si risparmia il 40 per cento, in Spagna il 70, in Francia l’87. Tutti questi Paesi hanno sfruttato le loro fonti “naturali”: Berlino ha riattivato alcune centrali a carbone e, sfruttando il vento nel Nord, messo in piedi grandi impianti eolici. In Spagna si sono focalizzati sul solare, hanno abbattuto i prezzi anche se non hanno sistemi di accumulo sufficienti, la Francia ha il nucleare».

Risultato?

«Le differenza sul prezzo abbassano la competitività de nostri distretti industriali rispetto ai diretti concorrenti. Pensiamo soltanto che cosa sta avvenendo nel settore della ceramica tra Italia e Spagna. Le aziende, che vengono da 21 mesi di calo nell’indice di produzione industriale, poi hanno bisogno di certezze per programmare gli investimenti. E già oggi registriamo una frenata nei consumi energivori».

In questo scenario quali benefici dà l’idroelettrico?

«È tra le maggiori fonti di ricchezza per il nostro Paese, anche guardando al livello degli investimenti realizzati. Eppoi c’è l’apporto in termini di sicurezza energetica, di sostenibilità perché non crea emissioni, garantisce importanti risparmi di acqua ed è un argine dal punto della tenuta idrogeologico. Senza dimenticare i benefici in termini di energia risparmiata pari a 1,4 TWh annui e le ricadute economiche indirette per il Paese di 52 miliardi di euro».

E per le imprese?

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«Parliamo di energia a basso costo e pulita, che tra l’altro non impatta sul sistema di trading delle quote Ets e sulle possibili sanzioni. Tra l’altro – accanto alla garanzia sugli investimenti – siamo pronti a destinare quote della produzione idroelettrica alle imprese».

Quali altre soluzioni si possono mettere in campo?

«Intanto, come già suggerisce il RepowerUe, dobbiamo capitalizzare quello che abbiamo, come la produzione da idroelettrico. Abbiamo proposto di spostare gradualmente quantitativi di energia a prezzi più contenuti con i contratti Ppa a lungo termine. In questa direzione il governo ha già dato una risposta con il sistema dell’energy release. Ma più in generale dobbiamo lavorare per un mercato dell’energia che punti a scorporare il gas dalla formazione del prezzo finale. Altrimenti le tariffe scenderanno più lentamente».

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